era il più grande omaggio che la città attribuiva ai vincitori
Elemento architettonico nato a Roma, l'arco onorario, o trionfale, era il più grande omaggio che la città attribuiva ai vincitori. Essi, al termine di una campagna vittoriosa, dovevano passare sotto una porta sacra per celebrare le proprie imprese e, secondo un significato più religioso, deporre il loro potenziale distruttore. Esistenti già nel II secolo a.C., gli archi si moltiplicarono in età imperiale quando, più che la vittoria in sé, essi celebrarono gli imperatori o i membri della loro famiglia. Alla fine dell'Impero si contavano a Roma circa 40 archi, costruiti all'ingresso dei Fori, sulle grandi vie di accesso o nelle aree e piazze monumentali. Di questi ancora oggi se ne conservano alcuni in ottimo stato.
Il percorso può cominciare nella zona del Velabro, ai margini orientali del Foro Boario, dove si erge il grande Arco detto di Giano, costruito nel IV sec. d.C. in onore dell'imperatore Costantino o, forse, di Costanzo II. E' l'unico arco quadrifronte, o a quattro fornici, conservato a Roma. Il nome Giano (dal latino Ianus, che vuol dire "passaggio coperto a quattro fronti") deriva proprio dalla sua forma. Il monumento, che nel medioevo fu trasformato in fortezza dalla famiglia dei Frangipane, rimase intatto fino al 1830, quando vennero demoliti l'attico e il coronamento perché erroneamente ritenuti non pertinenti alla struttura originaria. Frammenti dell'iscrizione dedicatoria sono ancora conservati all'interno della vicina chiesa di San Giorgio al Velabro.
Si narra che nel 1601 sotto l'arco di Giano si aprì improvvisamente una voragine che provocò la scomparsa di una donna, inghiottita dalla terra mentre passeggiava in compagnia della figlia. Ovviamente per tale motivo i romani, soprattutto in tempi meno recenti, non passavano volentieri sotto l'arco.
Subito alle spalle dell'arco di Giano, addossato e parzialmente inglobato nella stessa chiesa di San Giorgio al Velabro, si trova l'Arco degli Argentari. Esso era probabilmente, più che un arco, una porta monumentale del Foro Boario eretta, come indica l'iscrizione, nel 204 d.C. dai banchieri (argentarii) e dai mercanti (negotiantes) del luogo, in onore dell'imperatore Settimio Severo e della sua famiglia. Il monumento, alto quasi 7 metri, ospitava forse sulla sommità le statue della famiglia imperiale. Tracce di scalpellature indicano che alcune figure, come quelle di Geta, Plauziano e Plautilla, moglie dell'imperatore Caracalla, furono volutamente eliminate poiché rappresentavano persone fatte uccidere dallo stesso Caracalla. In seguito all'invenzione del motto popolare "Tra la vacca e il toro, troverai un gran tesoro", diffusosi circa le ricchezze che l'arco doveva nascondere, nei secoli passati sono stati aperti alcuni buchi visibili ancora oggi. Passeggiando verso il Campidoglio si può accedere nel Foro Romano dove, nei pressi della Curia, è possibile ammirare l'Arco di Settimio Severo. L'arco fu eretto nel 203 d.C. per celebrare il decimo anniversario di regno dell'imperatore Settimio Severo, tornato vittorioso dalle guerre in Partia (oggi Iran e Iraq), combattute insieme ai figli Caracalla e Geta.
Osservando attentamente l'iscrizione sull'attico si può notare come alla quarta riga dall'alto i fori corrispondenti ai chiodi che fissavano le lettere in bronzo, ora perdute, non coincidano con l'andamento delle lettere attuali. Ciò significa che già in epoca antica avvenne una rielaborazione del testo: infatti la quarta riga ospitava il nome di Geta, il secondo figlio di Settimio Severo che Caracalla fece uccidere dopo la morte del padre per potersi impadronire, lui solo, del potere. In questa occasione venne condannata la memoria stessa di Geta, il cui nome e le cui immagini vennero fatte sparire da tutti i monumenti pubblici dell'impero.
L'arco, uno dei maggiori esistenti, si trova in buono stato di conservazione perché nel medioevo è stato inglobato in una fortezza e addossato ad una torre appartenente alla famiglia dei Brachis, che diede il nome alla località detta appunto Le Brache.
Sempre nel Foro Romano, lungo la Via Sacra, in direzione del Colosseo si erge l'Arco di Tito.
Tra gli archi più famosi di Roma, è stato eretto tra l'82 e il 90 d.C. in onore di Tito divinizzato. Fu innalzato da Domiziano, fratello dell'imperatore, per ricordare la vittoria contro i Giudei e la presa di Gerusalemme da parte di Vespasiano e Tito stesso.
Secondo la tradizione gli ebrei non sono mai passati sotto l'arco per non rendere omaggio a chi aveva distrutto il tempio di Gerusalemme.
Sul lato che guarda il Colosseo è ancora conservata l'iscrizione dedicatoria, originariamente rivestita di lettere in bronzo. Il metallo è stato trafugato e pertanto oggi rimangono solo i buchi delle grappe utilizzate per sorreggere le lettere che dicono "Senatus Popolusque Romanus divo Tito divi Vespasiani F(ilio) Vespasiano Augusto" (Il Senato e il popolo romano al divino Tito Vespasiano Augusto figlio del divino Vespasiano).
La sigla S.P.Q.R. deriva dall'espressione Senatus Popolusque Romanus con la quale nell'antica Roma si usava iniziare le deliberazioni. Ancora oggi è uno dei simboli di Roma, insieme alla Lupa. Il poeta romanesco Belli interpretò la sigla, spiegandola in un sonetto, come "Solo Preti Qui Regneno", in riferimento al potere temporale della chiesa di Roma, mantenuto fino al 1870.
In uno dei rilievi posti all'interno dell'arco è rappresentato il corteo che precede l'imperatore mentre passa sotto la Porta Trionfale, recando il bottino sottratto al tempio di Gerusalemme: le trombe d'argento, la mensa d'oro, l'arca che conteneva le sacre scritture e il candelabro d'oro a sette braccia, la cui raffigurazione è probabilmente la più antica giunta sino a noi. Per questo motivo nel medioevo fu soprannominato "Arco delle sette lucerne" e incorporato nelle fortificazioni della famiglia Frangipane, da cui fu liberato nel XIX secolo durante i restauri diretti da Giuseppe Valadier.
Stendhal, in viaggio a Roma all'inizio dell'Ottocento, parlando dell'arco disse: "Esso, dopo quello di Druso vicino a Porta San Sebastiano, è l'arco più antico di Roma e fu anche il più bello fino all'epoca in cui fu restaurato dal signor Valadier. Questo sciagurato, che nonostante il nome francese è romano di nascita, invece di rinforzare l'arco…pensò bene di ricostruirlo di nuovo".
Un'affascinante ipotesi vorrebbe che l'arco fosse stato utilizzato per custodire, temporaneamente, le ceneri dell'imperatore Tito prima che fossero deposte nel sepolcro di famiglia eretto sul colle Quirinale nel 94 d.C.
Nella piazza del Colosseo è visibile infine il maestoso Arco di Costantino, eretto in onore di Costantino, nel decimo anno del suo regno (315 d.C), per celebrare la vittoria riportata su Massenzio nella battaglia di ponte Milvio (312 d.C). Alto quasi 25 metri, è il più grande arco trionfale che si sia conservato a Roma. Rappresenta un eccezionale esempio della pratica, seguita sistematicamente a Roma fin dall'antichità, di spoliare monumenti antichi per costruirne di nuovi; qui si trovano infatti riutilizzate, accanto ad opere costantiniane, sculture ed elementi architettonici provenienti da monumenti di Traiano, Adriano e Marco Aurelio.
E' interessante ricordare che l'arco era completato da preziose decorazioni pittoriche e metalliche. I colori che predominavano erano l'oro e il porpora, i colori dell'impero. Recentissimi studi hanno inoltre sollevato il dubbio sul fatto che l'arco abbia riutilizzato strutture murarie preesistenti, forse del II secolo d.C.
Trasformato in torre di fortificazione dei monaci di San Gregorio nel Medioevo e successivamente incorporato nella fortezza dei Frangipane, l'arco fu restaurato più volte e infine portato completamente alla luce nel 1804.
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