tra i più significativi edifici storici di Piacenza, occupa una vasta area tra Piazza Cittadella e Via Risorgimento
Maestosa e solenne si erge la possente mole di Palazzo Farnese. La gigantesca costruzione mai terminata, sprigiona ancora oggi il fascino ambiguo dell'incompiuto, l'irresistibile seduzione della rovina nelle parti monche, come sospese, nelle rifiniture parziali e bruscamente interrotte. La rigorosità formale elaborata da sapienti ma contrastate scelte progettuali si mescola a soluzioni scaturite da prassi realizzative non sempre coerenti, segnate da mutamenti di progetto, cambiamenti di indirizzi, abbandoni, a cui si aggiungono le ferite del tempo, comprese quelle degli ultimi restauri. Fu costruito sull'area della Cittadella Viscontea, la fortezza a pianta quadrata eretta dai Visconti a partire dal 1373, con quattro torrioni circolari agli angoli e i masti a difendere gli accessi. Della costruzione viscontea rimangono la zona occidentale con le due torri e le mura merlate, ed altre strutture ampiamente trasformate ad opera degli Sforza (1448) e di alcuni legati pontifici, nel 1536 e, in particolare, fra il 1540 e il 1545, anno in cui si insediò Pier Luigi Farnese, investito dal padre, papa Paolo III dei ducati di Piacenza e Parma. Dopo la restituzione di Piacenza ai Farnese (Trattato di Gand 1556), i maggiori esponenti di questa famiglia intesero la necessità di risiedere stabilmente a Piacenza. Nel1557 il duca Ottavio Farnese, la moglie Margherita d' Austria e il cardinale Alessandro Farnese decidono infatti di costruire un palazzo. Un primo progetto fu eseguito nel 1558 dall'architetto urbinate Francesco Paciotto (Urbino 1520 c.-1591). Nipote di Raffaello, possedeva notevoli cognizioni tecnico matematiche e una profonda cultura umanistica. Fu, in accesa rivalità con Vignola, un accorto interprete delle esigenze di casa Farnese, impegnato soprattutto, ma non esclusivamente, in fortificazioni militari. La costruzione fu intrapresa, con la posa della prima pietra il 9 dicembre 1558, assenti però il duca, la duchessa e lo stesso Paciotto. Mentre venivano impostate le fondamenta nasceva intorno al palazzo, che si voleva «forte e bello e ben proporzionato» un vero e proprio dibattito architettonico, culminate nell'ideazione di un nuovo progetto da parte di Jacopo Barozzi da Vignola (Vignola 1507 - Roma 1573) che, personalmente a Piacenza nel 1560, fece pervenire alla duchessa tramite il figlio Giacinto, nell'anno successivo, otto disegni. Il Vignola, una delle figure più significative del Cinquecento italiano, autore del progetto della chiesa del Gesù a Roma e di un fortunato trattato architettonico, fu architetto prediletto dalla famiglia Farnese, per cui progettò Villa Giulia lungo la Flaminia, Villa Lante a Bagnaia e Palazzo Farnese a Caprarola, presso Viterbo. Il progetto del Vignola a cui lo stesso architetto apporrà, in occasione del suo secondo soggiorno a Piacenza nel 1564, delle modifiche, mostra alcuni temi cari all’artista: concezione austera degli esterni, pensati come blocchi orizzontali, appena scanditi dal ritmo seriale delle aperture e la ricerca di una diversa spazialità interna che si appunta in impreviste soluzioni, come quelle angolari del cortile, o in inediti rapporti chiaroscurali nella poderosa ed esasperata articolazione dei pieni e dei vuoti delle arcate, nel rivoluzionario progetto del teatro, previsto di fronte all'ingresso principale, che, se realizzato, avrebbe costituito il primo teatro in pietra in Italia, esemplato sui precetti vitruviani e quelli archeologizzanti dell'Alberti. Si cominciò quindi ad eseguire il progetto del Vignola dal 1560 sotto la direzione prima del figlio Giacinto e poi dell'allievo Giovanni Francesco Testa, giovane architetto parmense. Nel 1568 i lavori subirono rallentamenti per le crescenti difficoltà economiche, fino ad interrompersi del tutto nel 1570, dopo aver impostato le volte del piano terra. Il cantiere fu poi riaperto nel 1588 per volontà del nuovo duca Alessandro, che volle continuare il progetto del Vignola, forse come estremo omaggio alla memoria della madre. Questa seconda fase costruttiva, per il cui finanziamento la Comunità di Piacenza doveva versare 50.000 scudi d'oro in dieci anni, fu diretta da Bernardino Panizzari detto il Caramosino fino a11596. Il cantiere fu poi definitivamente abbandonato nel 1602. I duchi ormai avevano stabilito la loro residenza a Parma e la grandiosa costruzione progettata dal Vignola non era più proponibile. L'ala costruita, prospettante sull'attuale viale Risorgimento, rispecchia fedelmente il progetto del Vignola, nell'alternarsi dei tre ordini di finestre con agettanti cornicioni esemplati su modelli michelangioleschi, inframmezzati dalle aperture seriali dei mezzanini. Nel progetto vignolesco la scarpa su cui si erge il palazzo emergeva da un fossato, osteggiato dalla committenza. La facciata verso il Po era invece articolata da loggiati, che le conferivano un aspetto più mosso e arioso, che metteva l'architettura in relazione con il giardino, previsto fino alle mura della città, e il paesaggio circostante. La facciata principale, su piazza Cittadella riproduce, nel progetto conservato presso l'Archivio di Stato di Parma, la fronte laterale ancora oggi esistente, ma con l'emergente struttura d'accesso al centro, impostata su una profonda scarpata e modulata nei tre piani dalla scansione degli ordini architettonici dorico, ionico e corinzio, terminata infine da una torretta. Ma di tale fronte fu costruita soltanto la zona laterale, per cui si accede all'interno del cortile tramite il mastio rinascimentale. Il vasto cortile quadrato risulta sovrastato dall'imponente mole vignolesca, mentre è chiuso sugli altri lati dalle cortine murarie e dagli edifici della cittadella viscontea, con gli adeguamenti successivi. All'interno del Palazzo Farnese si conservano ancora rilevanti tracce della preziosa opera di arredo e di rifinitura promossa nella seconda metà del Seicento da Ranuccio II, con intagli dorati, quadrature prospettiche e lo splendido cancello in ferro battuto col giglio farne siano che chiude lo scalone d'onore. Al primo piano si trova la cappella ducale, progettata probabilmente da Lattanzio Papio, un ignoto architetto locale, detta anche del Caramosino, per la precedente non comprovata attribuzione. Lo spazio, articolato su una pianta ottagonale, è particolarmente suggestivo per la felice soluzione della cupola e le eleganti linee architettoniche, sottolineate da modanature in cotto. Sfarzosamente affrescate sono invece la sala del trono (Giovanni Evangelista Draghi, Genova 1645 - Piacenza 1712) e l'appartamento della duchessa (affreschi di Andrea Seghizzi 1675). Assai affascinanti sono le due salette nel mezzanino, collegate da una scala nello spessore del muro, con la favola di Psiche, affrescata da Sebastiano Galeotti. La decorazione a stucco del piano rialzato fu compiuta ne11688. Nelle sale dedicate ai Fasti farnesiani, dove si assiste alla celebrazione della famiglia ricollegandosi ad un programma ideologico già collaudato a Caprarola, le zone inferiori delle pareti dovevano essere ricoperte da arazzi, mentre nelle cornici appositamente modellate trovavano posto le tele con le Storie di Alessandro Farnese, opera di G.E. Draghi, in parte rimaste alla Galleria di Capodimonte di Napoli. Sono invece opera di Sebastiano Ricci (Belluno 1659- Venezia 1734) uno dei primi interpreti della pittura in chiave rococò, impegnato nelle maggiori corti europee, le tele della Vita di Paolo III entro uno studiatissimo apparato decorativo nella suggestiva alcova detta della duchessa, in quanto particolarmente amata da Enrichetta d'Este, moglie dell'ultimo Farnese. Con il passaggio del ducato ai Borbone il palazzo fu spogliato degli arredi (Carlo di Borbone portò a Napoli 898 quadri e 183 arazzi) divenendo poi magazzino e deposito militare. Nel 1960 si è dato l'avvio ai restauri che, oltre al recupero delle strutture, hanno coinvolto, con ampie ristrutturazioni, l'allestimento dell'Archivio di Stato (ultimo piano) e del Museo Civico Comunale, che occuperà anche, con la sezione archeologica, l'area viscontea, ancora in fase di lavoro.
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