Duomo di Piacenza

Duomo di Piacenza

è dedicato a Maria Assuta

La cattedrale, dedicata a Maria Assunta, nasce come sostituzione di un precedente edificio intitolato a santa Giustina, sorto intorno all'885 in un luogo ancora oggi non precisabile e comunque scomparso con il terremoto del 1117. La genesi dell'attuale monumento, del quale rimane ancora ignota la paternità progettuale, inizia nel 1122 quando il Vescovo Aldo dei Gabrieli ne pose le fondamenta, in un'epoca quindi che vide la formazione delle grandi fabbriche romaniche lungo la via Emilia, vigorose testimonianze di quel prodigioso risveglio economico e culturale che caratterizzò l'XI e il XII secolo.
La costruzione si svolse probabilmente in tre fasi e sempre con il sostanziale contributo finanziario della Corporazioni di Arti e Mestieri (Paratici), ricordate nelle formelle infisse sulle colonne interne alla chiesa. Inizialmente (1122-55) si sarebbe provveduto all'innalzamento della pareti esterne e delle navate, poi (1179-1235) del transetto, dell'abside e del tiburio, quest'ultimo realizzato sotto la direzione del piacentino Rainaldo Santo da Sambuceto. Infine si inserì sulla sinistra del tempio l'alto campanile, completato nel 1341 da Pietro Vago con una statua raffigurante un Angelo in rame dorato, e si diede corpo alla cappella del battistero in onore delle sante Caterina e Orsola. Nel XVI secolo si rimaneggiarono il culmine della facciata e i protiri antistanti.
Nuovi e più complessi interventi si ebbero a partire dal 1599, quando, alla luce delle nuove esigenze liturgiche post-tridentine, si allungò verso ovest il presbiterio e la sottostante cripta, dotando nel contempo le pareti di nuovi altari e abbellendo tutti gli interni con stucchi e pitture. La cattedrale assunse così un aspetto prevalentemente barocco, radicalmente rimosso alla fine del XIX secolo, in nome di un ritorno al medioevo che comportò il recupero delle originarie strutture romaniche.
La facciata, in marmo rosso di Verona nella parte inferiore e in arenaria nella superiore, è a capanna, con gallerie cieche nel coronamento, divisa in tre campi da pilastri semicilindrici e animata a metà altezza da loggette. La impreziosiscono un grande rosone e tre ingressi con protiri. In basso, tra le due semicolonne e il portale centrale, è possibile notare due linee in pietra divise in misure di 6 braccia piacentine, l'unità attraverso cui fu costruito il Duomo.
I portali sono di notevole interesse e costituiscono una splendida prova del cosiddetto romanico padano. Sono stilisticamente imparentati con l'opera dell'indiscusso protagonista della cattedrale di Modena, Wiligelmo, qui filtrato dalle esperienze dei maestri attivi nel 1121 per l'abbazia di S. Silvestro a Nonantola. Per le sculture della porta destra è stato inoltre accettato l'intervento di Nicholaus, artista attivo tra il II e III decennio del XII nel Duomo di Parma; a lui è infatti ascrivibile il rigore compositivo che distingue le scene dell'architrave, ravvivate da minute ed espressive figure.
Tali stilemi connotano anche i personaggi ai lati dell' architrave e S. Giovanni Battista nel pennacchio del protiro del portale sinistro.
Più grevi e con un gioco ornamentale insistito, appaiono invece le restanti sculture romaniche, assegnabili quindi ad altra mano.
Le iconografie dell'ingresso sinistro, leggermente più basso di quello destro, mettono in rilievo le realtà che attendono il cristiano dopo la morte, a seconda che egli abbia scelto la Virtù o i Vizi (rappresentati da quattro telamoni in alto negli stipiti). Il protiro è infatti retto da due cariatidi, la prima, seduta su un leone a tre teste, è il simbolo dell' Inferno, la seconda (un uomo seduto su un capitello con le vesti trattenute da un serpente) del Purgatorio, mentre il Paradiso è raffigurato sull'arco intorno alle lunette, suddiviso dall' Agnello della Apocalisse (opera di Pier Enrico Astorri del 1900). L'architrave ospita invece scene della Redenzione raccolte entro piccole archeggiature (Annunciazione, Visitazione, Attesa del Natale, Presepio, Annuncio degli angeli ai pastori, Adorazione dei Magi). Sotto l'architrave a destra, un po' nascosto dall'antiporta è Atlante che allude alla religione pagana, umiliata a portare il peso della Redenzione. Nel portale, mediano, contraddistinto da strombature più decorate e complesse rispetto a quelle degli ingressi laterali, poche sono le parti originali, assegnabili comunque a maestranze nicoliane, cui è possibile ricondurre i rilievi nella ghiera dell'arco esterno scompartita dalla mano di Dio, dove appare il Tempo esemplificato dai diversi segni zodiacali. L 'architrave è invece opera dello scultore piacentino Pier Enrico Astorri (1882-1926) che vi raffigurò (1900) i miracoli di Cristo (Guarigione del cieco, Tramutazione dell'acqua in vino, Negazione di Pietro, Gesù sulla roccia dei 4 rivi, Resurrezione del figlio della vedova di Naim, Guarigione del paralitico, Resurrezione di Lazzaro). Nella lunetta è un affresco coevo di Eugenio Cisterna (1862-1933) dedicato a Maria Assunta tra i santi Antonino e Giustina. Il protiro manomesso nel XVI secolo, è retto da due leoni in marmo rosa di Verona.
I telamoni che reggono il baldacchino della porta di destra alludono invece all'uomo cristiano confortato dagli esempi di Cristo e sostenuto dalle Virtù Teologali e Cardinali, quello di sinistra infatti, seduto sull'aquila (simbolo del vangelo di S. Giovanni), rappresenta la Teologia, quello di destra con le gambe incrociate nella positura dei saggi allude alla Filosofia. Nell'architrave si prosegue invece la narrazione delle tematiche neotestamentarie iniziate in quello del portale sinistro (Presentazione al Tempio, Fuga in Egitto, Battesimo di Cristo, Le tre tentazioni di Cristo nel deserto).
Sulla facciata, sopra l'arco, è il distico che ricorda l'anno di fondazione della chiesa (1122).
Dietro la facciata, sulla sinistra, si eleva il campanile percorso da lesene e con cella campanaria a quadrifore, sormontato da una cuspide conica su cui poggia l'Angelo di Pietro Vago. Sul lato anteriore del campanile sotto la cella, si nota la gabbia in ferro posta qui da Ludovico il Moro nel 1495 come berlina per rinchiudervi i sacrileghi.
Percorrendo all'esterno i fianchi del Duomo, se ne può cogliere la complessità costruttiva, dominata dal robusto tiburio ottagonale alleggerito da loggette. In corrispondenza del transetto di sinistra, si apre una porta (XII secolo) detta di Guastafredda poiché dà nella via omonima. Proseguendo verso via Prevostura si raggiunge l'esterno dell'abside centrale della navata maggiore. Questa è ravvivata da una finestra,-caratterizzata da due colonnine rette da leoni, e reca negli stipiti due Profeti e l'Annunciazione e, sull'apice dell'arco, un leone incoronato, opere riconducibili alla maniera di Nicholaus. Si raggiunge poi la porta del transetto che immette nella cappella del S. Sacramento, dove è visibile la raffigurazione di Cristo tra un Angelo e un Santo (XII secolo).
Ritornando alla facciata ed entrando nella cattedrale si nota che la pianta della chiesa risulta asimmetrica, per via del suo asse longitudinale leggermente deviato a sinistra. A croce latina triabsidata, è scompartita in tre navate da possenti pilastri cilindrici culminanti in formelle con rilievi dei Paratici che contribuiscono alla edificazione del Tempio (Tintori, Venditori di stoffa, Calzolai, Cardatori, Conciatori di pellame, Ciabattini, Fornai). Il presbiterio sopraelevato dalla sottostante cripta è chiuso in alto da un tiburio ottagonale. L 'edificio interno è caratterizzato nella parte inferiore da sagome romaniche, percepibili negli archi a tutto sesto portati dai pilastri cilindrici, e nella superiore da soluzioni gotiche ravvisabili negli archi a sesto acuto dei matronei e nelle volte cordonate.
Il percorso medievale che ha avuto nei portali esterni uno splendido inizio, può proseguire con la lettura dei capitelli figurati o a sviluppo vegetale, che ornano colonne e semipilastri, tutti riconducibili a maestranze padane del XII secolo. Osservando la controfacciata, il culmine della colonna sinistra addossata alla parete reca la lapidazione di S. Stefano, mentre un analogo rilievo corona quella a destra dell'ingresso, rappresentando Davide e Golia; le forti componenti espressive che li connotano hanno recentemente indicato in Nicholaus il loro esecutore. Le sculture invece che abbelliscono i pilastri sul lato destro della chiesa sono riconducibili alla cosiddetta scuola di Piacenza, nata dall'innestarsi di soluzioni provenienti da Nonantola sul romanico modenese e sono caratterizzate da iconografie poco legate a quelle dei «Bestiari», comunemente utilizzati dall'arte medievale e palesemente ripresi invece nelle formelle della parete opposta: ad esempio nel rilievo sul III pilastro con la raffigurazione di una testa virile da cui fuoriescono esseri mostruosi, o in quello sul V pilastro con la figura di un litofago.
Sempre appartenenti al XII secolo sono le formelle delle Corporazioni infisse sulle colonne. Si segnalano quella sulla I colonna a destra dell'ingresso dei merciai (due donne sedute intente a tagliare un panno) e la opposta a sinistra dell'accesso emblema dei calzolai (un ciabattino seduto nel suo negozio).
Nel procedere verso il presbiterio si nota sul II pilone di destra, siglato in alto dal simbolo dei conciatori di pelle, un insieme di affreschi di epoche diverse e di gusto popolare, dedicati a Maria e a santi (XIV e XV secoli), tra questi la Madonna della misericordia cui i piacentini sono particolarmente devoti.
Lungo le pareti della chiesa sono infissi lapidi e busti che ricordano i vescovi legati alla storia della Cattedrale.
Si raggiunge così la zona presbiteriale, modificata rispetto alle originarie soluzioni romaniche per iniziativa del vescovo Rangoni (1599-1609) e splendido e magniloquente esempio degli esiti della pittura tra Emilia e Lombardia durante il XVII secolo.
Gli interventi dei diversi autori che man mano lavorarono sulle pareti del presbiterio e nella cupola, tendono tutti alla glorificazione della Vergine, cui il Duomo è dedicato. La loro lettura, un tempo costituita da episodi logicamente concatenati tra loro, risulta oggi però parzialmente alterata, essendo alcuni dipinti in una collocazione diversa da quella originaria.
La vasta impresa aveva preso il via con Camillo Procaccini (1550 c.-1629) il pittore bolognese trapiantato a Milano infaticabile interprete in chiave classici sta del manierismo dell'Italia centrale, che esegue tra il 1605 e il 1609 per la parete al centro dell'abside, il Transito di Maria (ora sulla controfacciata) fiancheggiata da tele verticali centinate con Sibille a loro volta sovrastate da due dipinti più piccoli raffiguranti Profeti (ora nel palazzo Vescovile). Ludovico Carracci (1555-1619), l'innovativo protagonista della pittura controriformista bolognese, dipinge invece nel contempo per le pareti laterali del presbiterio la Vergine portata al sepolcro e gli Apostoli che trovano il sepolcro vuoto, due grandi tele che vennero sostituite nel 1804 da quelle di analogo soggetto realizzate dal piacentino Gaspare Landi, dopo che gli originali del Carracci erano stati trafugati in epoca napoleonica (1796). Sempre il Carracci aveva inoltre eseguito due opere più piccole con Profeti che sormontavano i due citati grandi dipinti, posti oggi sulla controfacciata ai lati del Transito del Procaccini.
Rimane invece secondo l'assetto originale, e quindi in stretto rapporto tematico con i dipinti sottostanti, l'affresco nel catino absidale del Procaccini, rappresentante l' Assunta risolto in un tripudio di angeli dal sapore correggesco, che reggono Maria. Spettano invece al Carracci i poderosi angeli svolazzanti dipinti sull'arco che segue il catino absidale. Si stagliano con vigore su un cielo intensamente azzurro, fungendo da raccordo al successivo episodio, eseguito nuovamente dal Procaccini in una delle quattro vie della cupola e raffigurante l'Incoronazione di Maria. Al classicismo austero e al freddo cromatismo dell'Incoronazione, controbatte il pennello del Carracci che affresca con uno stile robusto e coinvolgente le vele di destra e di sinistra con cori di angeli osannanti e quella vicina all'arco trionfale con il Limbo, vibrante palcoscenico dove i personaggi dell' Antico Testamento sono convenuti per ascoltare l'annuncio dell'avvenuta Redenzione tramite la collaborazione della Vergine. L 'omaggio alla Madonna si concludeva sulle pareti laterali, al di sotto dalla volta a crociera, con la Visita di Elisabetta a Maria e la Discesa dello Spirito Santo, realizzati dal Procaccini, e con la Natività della Vergine e l’Annunciazione del Carracci, che, strattati e trasportati su tela durante i restauri di fine Ottocento furono sistemati in episcopo.
La decorazione della grande calotta innalzata verso la fine del XIII secolo all'incrocio dei bracci del transetto, divisa in otto spicchi e retta da un tamburo ottagono ritmato da finestre, venne invece assegnata nel 1625 al lombardo Pier Francesco Mazzucchelli detto il Marazzone (1573-1626), pittore della Milano di S. Carlo Borromeo. Ma il celebre frescante non ebbe modo di esplicare la sua raffinata cromia, memore della giovanile educazione romana, che in due degli otto Profeti che avrebbero dovuto ornare gli spicchi della cupola: Davide e Isaia. Ammalatosi, fu infatti costretto a tornare in patria dove morì. L 'opera passò così al Guercino (1591-1666) che fu chiamato a terminare i lavori nel 1626. Raffigurò nella cupola i sei rimanenti Profeti (Aggeo, Osea, Zaccaria, Ezechiele, Michele, Geremia), nelle sottostanti lunette quattro episodi della infanzia di Cristo (Natività, L'Angelo che annuncia il Natale ai pastori, Presentazione al tempio e circoncisione, La fuga in Egitto) alternati alle otto Sibille che affiancano le finestre (chiuse ai tempi del Guercino e recuperate invece a fine ottocento) e da ultimo, ornò il fregio del tamburo con putti tra festoni di fiori e frutta.
Ne risultò un affascinante ciclo pittorico dove i dettami del nuovo classicismo teorizzato da G.B. Agucchi, conosciuto dal Guercino in Roma mentre lavorava al Casino Ludovisi, stemperano le sue giovanili e coinvolgenti soluzioni, dando vita a un fare più calibrato e ricco di eleganze formali.
La rigida ripetitività che connota invece il fregio con amorini che sostengono una cartella con figure femminili, eseguito a grisaille al di sotto delle Storie della infanzia di Cristo, presuppone evidentemente l'utilizzo di cartoni, e rende quasi certo l'intervento di aiuti che tradussero pittoricamente l'invenzione guercinesca.
L'impresa decorativa del presbiterio si chiuse tra il 1688 e l' 89 con gli interventi del bolognese Marcantonio Franceschini (1648-1729), ultimo fervido sostenitore di quella tendenza idealizzante di parte della scuola bolognese, che aveva affrescato con l'aiuto del concittadino Luigi Quaini (1646-1717) i pennacchi e le pareti della impostazione della cupola, raffigurandovi le Quattro Virtù Cardinali, l'Adorazione dei Magi, la Circoncisione e il Sogno di San Giuseppe Dei dipinti, staccati a fine Ottocento e in parte andati dispersi, si conserva in Duomo il Sogno di San Giuseppe, collocato oggi nel transetto di destra sopra la porta detta dei Chiostri.
Il percorso barocco della Cattedrale prosegue con la lettura degli affreschi nelle volte delle due navatelle adiacenti al presbiterio: quella a destra dedicata a S. Alessio e la sinistra a S. Martino. Nella prima i medaglioni delle vele, ornate con preziosi stucchi, furono dipinti intorno al 1618 da Camillo Procaccini che si giovò della collaborazione di Giovan Mauro della Rovere detto il Fiammenghino (1575 c.-1640). Recano episodi relativi alla vita del santo titolare (voto di verginità con la sposa davanti alla immagine della Madonna, il santo si congeda dalla sposa, partenza per la Terra Santa, atti di carità nei confronti dei poveri, non riconosciuto è allontanato dalla casa paterna, morto la sua bara è onorata dal pontefice a Roma, il feretro compie miracoli, cardinali e vescovi lo accompagnano al sepolcro).
I due citati pittori sono ancora gli artefici dei dipinti nella volta della cappella di San Martino dove sono raffigurati fatti della vita del santo (Martino ancora catecumeno dona il proprio mantello ad un povero, apparizione di Gesù, battesimo del santo, è accolto a Poitiers dal vescovo Ilario, riceve l'anello episcopale, morte del santo vescovo) in parte rimaneggiati da Luigi Mongeri (1900) e contraddistinti da un fare più veloce, forse dovuto al Fiammenghino, che vi ebbe presumibilmente un ruolo maggiore rispetto al Procaccini. La pala d'altare con il santo che taglia in due il suo mantello per donarlo ad un povero dal notevole sapore scenografico, venne invece eseguita da Ludovico Carracci tra il 1606 e il 1609 e si trova ora sulla controfacciata, sopra il portale sinistro.
Se è indubbiamente con il XVII secolo che il Duomo riceve la sua impronta caratterizzante, la chiesa conserva altre autorevoli opere di epoche diverse. Rimanendo nella zona presbiteriale, si segnala dietro l'altare maggiore l'imponente polittico ligneo dorato e dipinto, realizzato nel 1477 dai piacentini Antonio Burlengo e Bartolomeo da Groppallo e restaurato, con l'aggiunta di qualche statua mancante, nel 1900. La notevole opera di chiara ispirazione tardo-gotica, si organizza in sette scomparti rinserrati da due torrette laterali culminanti in due pinnacoli, che sorreggono l'Angelo e la Madonna della annunciazione; nelle nicchie laterali su tre registri dalla elaborata e preziosa struttura, trovano posto dei santi mentre al centro è visibile Maria, sovrastata dal Redentore.
Di notevole importanza è anche il coro ligneo addossato alla parete absidale messo a punto nel 1471 da Giovanni e Giacomo Genovesi di Bartolomeo, con i postergali ornati da eleganti formelle in rosso e blu di gusto gotico, coperte da calotte a forma di conchiglia. Il coro, che si rifà a quello di Giovanni di Basio del 1348 (chiesa di S. Domenico, Ferrara) deve l'attuale sistemazione ai restauri del 1900 che previdero anche il rifacimento delle guglie e l'amputazione di parte degli stalli. Il leggio corale proviene invece dalla chiesa piacentina di S. Sisto.
Si passa quindi nel transetto destro. Sulla parete a destra, sopra il confessionale che affianca la porta, si nota una lunetta affrescata con Maria in trono tra angeli e santi e un donatore vescovo inginocchiato scrivibile a un maestro lombardo attivo nell'ultimo quarto del XIV secolo, forse il cosiddetto maestro di Ada Negri, autore di alcuni dipinti tra Lodi e Piacenza. Proseguendo, si incontrano le tre absidiole del transetto con gli altari dedicati all ' Addolorata, al SS. Sacramento e alle sante Vergini, i cui decori pittorici con soluzioni neogotiche, spettano al romano Eugenio Cisterna (1900). L'abside della sante Vergini conserva inoltre lacerti di affreschi medievali, scoperti nel 1873 e largamente ridipinti nel 1900 da Luigi Morgari. L 'altare dell'abside centrale, in sagome neogotiche, è invece opera del piacentino Fedele Toscani e di Giovanni Pagani, che lo eseguirono su disegno dell'architetto Camillo Guidotti (c. 1900).
Sulla parete sinistra del transetto, entro un arco acuto, si nota un affresco raffigurante Cristo crocefisso circondato da quattro santi e adorato da un committente genuflesso (1515) recentemente assegnato al Bonone che manifesta, nel paesaggio roccioso visibile al di là della imponente crocefissione, desunzioni leonardesche.
Sopra la porta che immette nelle sagrestie si nota una lunetta con Maria e il Bambino attorniati da angeli con racemi fioriti tra le mani, dipinto assegnabile a un pittore del XIV secolo ancora fedele a moduli bizantini.
Si raggiunge così l'abside collocata a destra della principale e dedicata a S. Alessio, della cui volta già si è detto e che, analogamente a quella di sinistra intitolata a S. Martino, presenta le pareti ridipinte dal pittore torinese Luigi Morgari. Uscendo dall'abside di S. Martino e prima di inoltrarsi nel transetto sinistro, si segnala un gruppo scultoreo entro un'edicola classica con timpano, rappresentante il Crocefisso affiancato da Maria e Giovanni, eseguito nel 1504 da Ambrogio Montevecchi per il vescovo piacentino Battista Bagarotto, ritratto in un bassorilievo posto a sinistra del gruppo. Si giunge così alla cappella del Battistero chiusa da un cancello e dedicata durante il XIV secolo alle sante Orsola e Caterina, che ospita una antica vasca battesimale, due statue di Giuliano Mozzani (1720) e un affresco del Franceschini, un tempo collocati sull'arco trionfale sotto la cupola e successivamente (1900) staccato.
Come nel transetto destro anche le absidi terminali del sinistro furono dipinte con affreschi medievaleggianti a seguito dei lavori di ripristino nel 1900. La prima dedicata alla Sacra Famiglia è opera del piacentino Alfredo Tansini (1901), le due successive invece intitolate alla Madonna del Popolo e ai Santi Vescovi piacentini vennero realizzate da Eugenio Cisterna (1903). sopravvivono parte delle decorazioni delle volte eseguite nel 1718 dai pittori bolognesi Antonio Boni, Luca Bistega e Marcantonio Franceschini.
Prima di uscire dal transetto, degna di nota è la grande tela posta sopra la porta di ingresso dipinta nel 1772 dal parmense Gaetano Callani (1736-1809) in occasione della beatificazione del vescovo piacentino Paolo Burali, qui ripreso insieme ad altri vescovi, connotata da un cromatismo vivo incentrato sui rosa e gli azzurri che sorregge un rigoroso impostarsi della composizione per diagonali incrociate. Interessanti sono anche gli affreschi trecenteschi di gusto popolare posti sulla parete di fronte raffiguranti S. Cristoforo, S. Giorgio e S. Antonio.
Si può quindi accedere alla cripta che, collocata sotto al presbiterio, è preceduta da due amboni messi a punto nel 1900 da F. Toscani su disegno di C. Guidotti, recuperando iconografie e soluzioni presenti sui capitelli e nei portali della Cattedrale stessa. Ai medesimi autori si deve anche il pulpito, donato nel 1901 al Duomo dal Collegio Alberoni. La cripta, intitolata a S. Giustina fu riportata allo stato originario nel 1900; è a croce greca e sostenuta da 108 colonnine adorne di capitelli medievali di varia foggia. Uscendo e tornati nei pressi della navatella a destra del presbiterio, si può accedere, varcando un bel portale in terracotta (XV secolo), alla sagrestia dei canonici, rinnovata nella pittura e nell'arredo nel 1857 da Giuseppe Pietro Giorgi e Luigi Gregori secondo direttive neogotiche. Da qui si raggiunge l’Archivio Capitolare che conserva oltre ad un pregevole trittico di Serafino de Serafini (1390 c.) con episodi della vita di Gesù, preziosi antifonari del XIII e XV secolo, pergamene di epoca longobarda, e una splendida raccolta di musica, a stampa e manoscritta, del XVI e XVII secolo.

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