Tradizioni parmigiane: San Martino

Tradizioni parmigiane: San Martino

dal “Fare” San Martino ad altri detti di questa data

Secondo un detto popolare “fare San Martino”, “fare i traslochi” come simpaticamente dicono in Val Ceno, equivale a far su fagotto, sloggiare ossia cambiare casa, paese, città, posto di lavoro, andarsene insomma, affrontando le inevitabili conseguenze, il disagio, il trambusto ed una probabile sofferenza, conseguente ad ogni mutamento di vita.
Alle volte può significare miglioramento di situazione, comunque il fatto ha sempre un amaro sapore di distacco.
L’annuale ricorrenza dell’11 novembre riconduce innanzi tutto ai sentimenti e allo spirito del Santo Vescovo di Tours, dal quale deriva il termine “fare San Martino”. Fu lui, umile uomo di Dio, nel rigore dell’inverno in marcia verso Amiens a spartire generosamente il mantello con un povero seminudo incontrato sul ciglio della strada. Nella notte seguente gli apparve il Cristo nelle vesti dello stesso povero che mostrandogli quel lembo di stoffa gli disse: “Martino… tu hai coperto Me col tuo mantello!”.
Una leggenda, tra le tante fiorite attorno al prestigioso santo, descrive Martino inseguito dai nemici, nascosto nella cantina di un contadino, dentro ad una botte.
Sopraggiunti gli inseguitori, invano frugarono da ogni parte e, non trovandolo, pensarono di spillare da una di quelle botti il vino nuovo, in tal misura da ubriacarsi, dopo di ché al santo fu facile riguadagnare la libertà. Dalla leggenda, il collaudo del noto proverbio: “A San Martèn al most l’è vèn” ossia è già buono da bere ed anche per ubriacarsi.
Oltre l’aspetto religioso accennato, la ricorrenza aveva le caratteristiche di un avvenimento di stagione, un momento forte nella vita paesana, un diversivo che sprigionava la curiosità dei più piccini, che affacciati sulla strada assistevano al passaggio di quelle processioni extraliturgiche, nelle ore più tiepide del giorno, quando il sole riusciva a mala pena a vincere l’abituale cortina di nebbia. Con i carri agricoli, scricchiolanti sulle strade polverose e ghiaiate, ricolmi di ogni roba, trainati da buoi o dalle mucche si facevano i traslochi. Il giorno stesso del trasferimento, l’animazione della famiglia in partenza, contagiava anche i vicini di casa, per lo più disponibili a dare una mano.

“Per San Martino spilla la botte del buon vino”.
Questo è uno dei tanti proverbi che trovano ospitalità nei calendari, l’11 novembre e che sottolinea decisamente il vincolo esistente tra la ricorrenza e la tradizionale “spillatura” del vino nuovo.
Felicemente ancorati a forme tradizionali, alcuni contadini, nonostante il progressivo mutare delle usanze, continuano a fare il vino in casa col rituale antico, o meglio nella cantina dal pavimento di terra battuta e lucida, semibuia e fresca, pavesata di strane bandiere intessute pazientemente da qualche ragno in cambio di una indisturbata ospitalità.
Il mosto dopo essere uscito fragrante dal tino veniva affidato per conseguire la “maturità” a botti o botticelle e più tardi subire il travaso tra marzo e aprile, a “luna buona”, e finire imbottigliato.

A Traversetolo, la festa del Santo è associata ad una delle fiere principali dell’anno privilegiando gli aspetti commerciali, artigianali, culturali-ricreativi.
In tale giorno la piccola cittadina ai piedi delle colline, accoglie centinaia di bancarelle e rigurgita gente che arriva da ogni parte, ben nota cometa mecca domenicale degli ambulanti e del pubblico per il cosiddetto “mercatone”, le cui radici affondano lontano nei secoli, iniziato da pochi contadini delle colline circostanti che esponevano le loro mercanzie su rudimentali tavole o addirittura per terra.

La festa di San Martino è un momento di serenità e di gioia tra i tanti richiami nostalgici dell’autunno tra cui l’estremo chiacchierio delle foglie, che giocano col vento, quasi parole di congedo al termine di una stagione, ormai impallidite, raggrinzite, senza smalto. Per la sopraggiunta fredda stagione si pronosticano due giornate di sole prima che finisca novembre: l’estate di San Martino. La sapienza dei nostri vecchi avverte appunto che “L’istè ‘d San Martèn la dura du dì e ‘n ponèn”. (L’estate di San Martino dura due giorni e un pochino)

da www.turismo.parma.it

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