breve storia di Lorenzo de' Medici, Signore di Firenze
Lorenzo de' Medici era nato per essere Magnifico. Nel Rinascimento era un appellativo che veniva dato a tutti i personaggi di rilievo, indistintamente, Come oggi ai rettori di università: lui divenne il Magnifico per antonomasia, senza uguali. In ogni campo personificò la vittoria. Ottenne successi trionfali qualunque cosa facesse. Il SUo straordinario carisma lo poneva sempre più in alto di tutti, anche se era brutto, piCColo e Con sgraziata voce nasale. Pronipote di contadini del Mugello, accettò controvoglia, a vent'anni, di diventare Signore di Firenze. Non amava la politica ma fu un grandissimo diplomatico, dominò Firenze alleandosi Con i ceti popolari e si affermò in Europa imparentandosi con le più potenti famiglie regnanti. Non mirava ai guadagni e divenne il più ricco banchiere d'Italia, si mostrava disinteressato ai commerci e conquistò il monopolio dell'allume, fondamentale per l'industria tessile che aveva portato la ricchezza a Firenze; nemico della guerra, non si sottrasse a nessun conflitto che giudicava vantaggioso e li vinse tutti. Democratico nei modi fu, senza che nessuno se ne avvedesse, un despota assoluto: Guicciardini lo definì il più amabile dei tiranni. Non senza cinismo diceva di confondere gli affari della città con i propri; sotto di lui Firenze visse il suo secolo d'oro dando vita all'aurea leggenda di una città dove regnavano la gioia collettiva, la felicità e la prosperità di tutti i sudditi cui fece ignorare le ingiustizie, le rivalità e le manchevolezze. Con il Magnifico Firenze raggiunse il momento più alto nella cultura europea. Sempre amabile, gentile e magnanimo, non ammetteva che i suoi piani venissero contrastati e fu inesorabile nelle vendette con chi cercò di farlo cadere. Mediocre cavaliere, fu sempre vincitore nei tornei, compreso quello in onore di Clarice Orsini al suo arrivo a Firenze, in cui cadde tre volte e una volta fu disarcionato. Solo il matrimonio, combinato dalla madre, non fu un successo; Clarice era bruttina, poco amabile, senza interessi culturali: con lei ebbe in comune solo sette figli. Umanista, amico e protettore degli umanisti, prese posizione a favore della lingua volgare, che gli umanisti avrebbero voluto relegare fra i dialetti. Nei momenti di relax compose cori per il carnevale, musiche per il calendimaggio, serenate e mattinate da cantare sotto le finestre delle ragazze. Fu grande amico di Marsilio Ficino, la mente più eccelsa fra gli intellettuali della sua corte che, sebbene impegnatissimo nei problemi dell'anima, non disdegnava gli amori terreni, e insieme inventarono afrodisiaci e tecniche amatorie. Più di tutto amava le donne, le feste e la dolce vita; sebbene magro, spesso ammalato e dolorante, non mancava mai ai banchetti che duravano giorni e notti. In casa condusse invece una vita semplicissima in contrasto con la pompa delle famiglie principesche dell’epoca. Auspicò sempre una religione purificata, guardò sempre con diffidenza il clero. All'ambasciatore turco che si meravigliava che a Firenze ci fossero pochi matti, Lorenzo rispose indicando un grande convento di frati: "Ce ne sono, ma voi non potete vederli perché li racchiudiamo tutti lì dentro". Tutti i regnanti si inchinarono a lui, persino Maometto II il Conquistatore, grande amante delle lettere e delle arti, e il Sultano d'Egitto. Nel momento più drammatico della sua vita, quando lo Stato della Chiesa, il re di Napoli, la repubblica di Siena, Pisa, Lucca e Urbino si erano alleati contro Firenze, dimostrò insospettato coraggio e mise in atto l'unica iniziativa che poteva salvare Firenze e gli andò bene. Partì per Napoli con solo i dieci uomini della sua scorta, ben sapendo quanto il suo nemico Ferrante d'Aragona fosse infido e senza scrupoli. Seppe perorare tanto bene la causa sua e della città e fu così convincente, che conquistò il re, divenne suo amico e Napoli abbandonò l'alleanza antifiorentina. Alla partenza, Ferrante gli regalò uno splendido cavallo arabo, dicendogli: "La vostra presenza ha vinto di assai la fama". A quarant'anni suonati, con la gotta che lo tormentava e le mani gonfie e deformate, incapace per lunghi periodi di guidare la penna, si innamorò della matura moglie di Donato Benci, l'ultima e la più duratura delle sue tante relazioni. Quasi ogni sera, anche in inverno, finito il lavoro a Firenze, la raggiungeva in una villa fuori città, suscitando lo sdegno del Guicciardini che giudicava quella storia indegna di un uomo tanto grande. Il censore più severo che sempre tuonò contro la sua vita immorale e contro la corruzione della città, fu il Savonarola, che spaventava i fiorentini annunciando prossimo il castigo di Dio. Quando Lorenzo era sul letto di morte nella villa di Careggi, al suo capezzale accorse proprio Fra' Girolamo che, a detta della gente, gli avrebbe negato l'assoluzione. Non era vero; come testimoniarono Poliziano e Pico della Mirandola, che gli furono vicini fino all'ultimo respiro, il Savonarola che lo aveva sempre aspramente combattuto in vita, lo confortò in morte pregando con lui, mano nella mano, per molte ore. Morì giovane, come la maggior parte dei Medici, per le complicanze cardiovascolari della gotta, la malattia di famiglia. A Firenze si diceva che se un Medici non era gottoso, si doveva pensare che fosse spurio. Dopo la morte Lorenzo divenne il solo Magnifico della storia, da lui prese origine la credenza che la gotta fosse una malattia che accresceva l'intelligenza.
a cura di Franco Fontanini
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