reportage Uganda
Moroto 28 luglio 2007
Sveglia alle sei, questa mattina. Qualche cambio con noi, nei nostri zaini, perché faremo tappa due notti a Lira. Qui incontreremo Mons. Franzelli, vescovo chiamato alla diocesi di questa città martoriata da anni di guerra civile. Poi lunedì, lungo un itinerario che entrerà dentro il Murchison Falls Park, proseguiremo per Kampala, da dove, sabato 4, partiremo per rientrare in Italia. I nostri bagagli sono già tutti là, scesi con Giorgio che incontreremo al nostro arrivo in capitale. Ieri è stato il giorno dei saluti e degli arrivederci. Ci ritroveremo sicuramente con Lavinia, che a fine agosto tornerà per qualche settimana a Piacenza. Ma ci ritroveremo, credo, anche con Sara, con Cristiano, con Erica. E poi forse anche con Adelmo, con Franchina, con Ersilia… Chissà, le buone intenzioni ci sono tutte. Non è detto che non ci si possa ritrovare con tutti di nuovo qui, in Karamoja, ci siamo detti convinti. Abbiamo poi, nella mattinata sempre di ieri, salutato ed abbracciato per l’ultima volta, sempre per ora, i nostri bimbi dell’orfanotrofio. Con un nodo alla gola che ancora adesso non vuole sciogliersi. Abbiamo stretto le suore di Madre Teresa, gli angeli di questi bambini. E poi ci siamo dedicati, nel pomeriggio, ad una escursione sul Monte Moroto, accompagnati dai ragazzi del centro giovanile che collaborano con Cooperazione e Sviluppo. Con Caterina, Anita, Roberta, Carolina, mentre gli altri hanno deciso di riposare, ci siamo arrampicati fino a quasi duemila metri, lungo un sentiero che non c’era. O meglio, così lo chiamavano Robinson, Loly, Cinquefagioli (nome d’arte, il vero non si è mai saputo!) e gli altri dieci o quindici che si sono offerti come guide. Un sentiero che per alcuni tratti richiedeva quasi un’imbragatura. Poi rovi, roccioni da superare con pendenze assurde, insidie di ogni tipo… e le nostre fidate guide a piedi scalzi. O, chi era messo meglio, con qualche ciabatta rotta. Giunti là in alto, dove una croce segna la vetta, siamo stati presi da un comune crollo fisico. Il panorama, tra l’altro meraviglioso che si apriva su entrambi i versanti, lo abbiamo ammirato solo dopo una decina di minuti, quando si è cominciati a riprendere coscienza di chi eravamo, di dove eravamo, di cosa stavamo facendo lì… Bellissimo tutt’intorno, la piana che si stendeva da una parte, i monti che proseguivano dall’altro. Oggi, in partenza per Lira, portiamo con noi anche quei postumi dovuti a questa escursione “estrema”. Ma la trasferta non doveva poi essere così impegnativa. Non doveva. Invece lo era. Eccome. Una prima tappa a Boroti, poco prima di mezzogiorno. Dove incontriamo Giovanni, un collaboratore di Cooperazione e Sviluppo, e Padre Damiano, missionario che avevamo conosciuto a Matani, i quali stanno percorrendo la strada in senso inverso, da Kampala diretti a Moroto. Pochi minuti e ripartenza per Lira. Dove arriviamo verso le cinque del pomeriggio. Solita micidiale strada dove, tra una buca e l’altra, c’è qualche raro pezzo di piano. Lì ci aspetta Mons. Franzelli, un energico sessantacinquenne, nominato vescovo un paio d’anni prima in una cerimonia che ha avuto luogo sul locale campo di calcio. Una vita da missionario in giro per il mondo e quasi vent’anni dedicati a Gulu, città ad un paio d’ore da qui. Solo da pochi mesi un patto di cessate il fuoco tra le due città di Lira e Gulu ha messo momentaneamente fine ad una guerra civile devastante, cruenta, spaventosa. Come tutte le guerre, o più di ogni altra guerra. Qui venivano rapiti i bambini che venivano poi mandati in battaglia, i noti bambini soldato. Qui ci sono ancora campi di profughi dove la gente si rifugiava per fuggire alla furia di Koni, il capo dei ribelli che si opponeva alle forze governative. Storie spaventose, racconti agghiaccianti. Quelli che Mons. Franzelli ci narra, con i dettagli di chi era lì, dentro, in mezzo. E che ancora è lì, per contribuire ad una ricostruzione, ad una riappacificazione. Possibile seppur difficile.
Roberto Rossi
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