reportage Uganda
Kampala 14 luglio 2007
Destinazione Karamoja. Colazione ore otto e poi partenza. Poco prima delle nove siamo a bordo del bus, dopo aver caricato tutti i bagagli su un altro pulmino che verrà al nostro seguito. Il fondo stradale è per lo più su terra, sconnesso all’inverosimile, percorribile più a bordo di fuoristrada che con mezzi come i nostri. Attraverseremo l’Uganda da sud a nord ovest, al confine con il Kenia. Sono previste lungo il tragitto due soste. La prima a Jinja alla sorgente del fiume Nilo, la successiva a Mbala, sovrastata dai 4321 metri del monte Elgon e seconda città per importanza dopo Kampala. Questo è il periodo delle piogge qui nel nord Africa, con la speranza di sempre che le piogge arrivino abbondanti. I primi mesi della stagione sono stati benevoli, poco aprile, ma maggio e soprattutto giugno ricchi di precipitazioni che hanno consentito al terreno quella fertilità necessaria per un buon raccolto, soprattutto di sorgo, cereale molto diffuso da queste parti poiché particolarmente resistenti alla siccità, ma anche di fagioli, mais e poco altro. Purtroppo le piogge sono poi cessate ed il raccolto è tornato ad essere a rischio. Ma l’acqua caduta ha danneggiato notevolmente le strade di terra. La manutenzione della rete stradale, che conta in tutta l’Uganda, oltre 28.000 km. È pressoché inesistente, o quantomeno, molto scarsa. La mancanza di assistenza in caso di necessità, la segnaletica insufficiente, i frequenti casi di guida indisciplinata, formano il felice quadretto della viabilità. Ed in queste condizioni ci apprestiamo a percorrere cinquecento km. Partiamo e percorriamo il primo tratto che conduce a Jinja, su un fondo stradale decente, attraverso villaggi fatti di baracche, un po in terra, altre in cannette di bambù, altre in lamiera viste come la modernità in quanto protegge meglio dalla pioggia, a discapito del calore che all’interno si produce. Lungo il ciglio della strada si incontrano frequentemente donne e bambini carichi di taniche piene d’acqua, in spostamenti lunghi anche venti chilometri. Numerose inoltre le biciclette sospinte da terra poiché sellino, canna e manubrio sono destinati ad accogliere canne da zucchero, sacchi di cereali e quant’altro. Una breve tappa ad un mercatino nei pressi della fabbrica di birra Nile, per fare due passi e mangiare qualche frutto tra papaia, magno, banane arrostite. Ripartiamo per Jinja dove giungiamo verso mezzogiorno. Il pulmino con i bagagli è invece diretto ad una officina di riparazione per la rottura di una balestra. Un giro in barca di mezzora sulla foce del Nilo che ha origine dal lago Vittoria, sulle sorgenti, lungo la riva opposta dove decine e decine di di scimmiotte si arrampicano sulla parete che costeggia il fiume. Prima di rientrare la guida indica sulla riva due covoni di terra, alti circa un metro usati, ci dice, dagli stregoni per riti tribali. Sbarchiamo quando qualche goccia di pioggia comincia a cadere, per trasformarsi, nel giro di pochi secondi, in un acquazzone che ci impegna in una corsa al bus. Pochi minuti e siamo al Triangle, albergo ristorante dove pranziamo in un salone grande e spoglio, con belle vetrate sul Nilo e sul lago Vittoria. Le portate si dividono tra pollo e patate, e tilabia, pesce del lago cucinato fritto impanato o alla griglia, quest’ultimo scelto ed apprezzato soprattutto da don Sandro e da Ever. Da me solo scelto, ma va benissimo così. Terminato il pranzo, attendiamo il pulmino in riparazione che necessita di ancora un po di tempo. Dopo una mezzora ripartiamo. Sono quasi le 15 locali (siamo avanti di un’ora rispetto l’Europa). Il sole è tornato caldo, nel bus si canta, si ride per ingannare il tempo e la calura. E comunque ci si diverte. Un'unica tappa per giungere a Mbala. Qualche minuto per acquistare verdura e frutta, per muoverci e sgranchirci le gambe. Ci aspetta l’ultimo tratto, in un’unica tappa per Moroto. Che pare non arrivare più. Le strade si fanno impossibili. I villaggi si susseguono uno dopo l’altro, in un numero infinito. Salutano il nostro passaggio. Sorridono e ci accompagnano con lo sguardo mentre ci allontaniamo. Ogni tanto un fuoco con attorno gente. Sono le sette e già il cielo comincia ad imbrunire, Il tramonto è cosa meravigliosa. Siamo ancora lontani dalla meta. Con la luce della sera questi luoghi diventano magici, irreali. Una vegetazione fatta di alberi grandi, con grandi rami che scendono dall’alto a terra. La strada è da percorre a slalom, tra le buche, i canali, addirittura un guado che superiamo con un po di apprensione. Sei o sette metri senza vedere sotto che c’è. Sobbalziamo sempre di più. Il bus sembra non farcela davvero più. Anche noi. Arriviamo sfiniti. Ma contenti. 500 chilometri coperti in tredici ore. A Moroto ci hanno aspettato, con qualcosa da mangiare. Conosciamo Sara e Cristiano, poi Franca, poi altri. Qui è dove volevamo essere. E un cielo grande come non avevo mai visto, le stelle che dall’alto scendono fino all’orizzonte, toccando quasi terra, ce lo confermano. Si, questo è il posto dove volevamo essere. Domani non so che faremo, ma siamo qui, in mezzo alla gente che volevamo incontrare. La gente di quest’Africa che ha tante cose da dirci…
Roberto Rossi
|