reportage Uganda
Moroto 22 luglio 2007
E’ trascorsa una settimana dal nostro arrivo qui a Moroto. Abbiamo, giorno dopo giorno, conosciuto vari aspetti di questo territorio. Siamo entrati in contatto con la sua gente, con alcuni tratti identificativi di questo popolo. E ci ha colpito il suo calore, la sua dignità. Messa sempre a dura prova, ogni giorno, dalla fame, dalla sete, da una povertà ai massimi livelli. Questa regione, il Karamoja, a nord est dell’Uganda, è la cartolina più rappresentativa di questo cosiddetto terzo mondo. L’immagine più significativa dell’egoismo e dell’ipocrisia della civiltà “moderna”. E’ la tela di un pittore titolata “il più grande crimine dell’umanità”. Una tela non dipinta. Con una bellissima sfarzosa cornice. L’Africa non c’è per nessuno, ma tanti gli stanno attorno. Per i loro loschi giochi, per i loro sporchi interessi. E’ un quadro mai cominciato. Già perfettamente incorniciato. Non importa il contenuto. Importa l’effetto. Ed è un effetto che sortisce grossi interessi. Che fa spartire grosse somme di denaro. E che lascia tutto al suo posto. Uno strumento per poter continuare a predicare bene. Grandi conferenze, grandi progetti, grandi propositi. Viene loro condonato il debito mondiale nei confronti degli altri paesi… una farsa. Una dipendenza lunga decenni, a servire i paesi colonizzatori. Che sfruttano, che mangiano, che schiavizzano. Poi l’indipendenza. Che qui in Uganda giunge nel 1962. E che vedremo in un prossimo appuntamento le conseguenze che ha sortito. Oggi è domenica. E in questa giornata di festa ritorniamo a Loputuk, per la messa che verrà celebrata da Don Sandro. Una messa combinata che coniuga la classica funzione cattolica occidentale al rito della tradizione karimojong. A rivolgersi ai fedeli locali sarà Luka, responsabile della comunità, chiamato a tradurre i brani che Don Sandro sceglierà nella sua celebrazione. E’ una domenica di pieno sole, come tutte le altre giornate qui trascorse. La temperatura supera i trenta gradi, ma una leggera aria che soffia dalle alture ed il clima secco li rendono facilmente sopportabili. La messa ha inizio quando la chiesa è mezza vuota. Sono le dieci circa. La gente dai villaggi vicini continua ad arrivare, numerosa. E sono tanti anche i bambini. Il momento è reso particolarmente interessante e suggestivo proprio dall’alternarsi delle due funzioni. Che si intrecciano, che si amalgamano. La chiesa è ora piena, stracolma. C’è gente anche fuori. Risuonano canti e balli karimojong. Tutto è animato in un crescendo di ritmi. Dopo oltre due ore la funzione volge al termine. Che prevede una danza trascinante, capace di coinvolgere tutti, di unire tutti. Così diversi, così simili. Nel mezzo alcuni momenti della celebrazione locale. Tradizioni che testimoniano la loro grande fede. In particolare il momento dell’offertorio. Qui sono i fedeli ad avvicinarsi all’altare e a deporre chi una moneta, chi un pugno di mais, o qualunque altro dono è loro consentito. Una fede che travalica la fame. Che va oltre la loro povertà. Anche il segno della pace è sentito e trasmesso con grande forza, con intensità. Rientriamo al centro, il pranzo, per alcuni un po di riposo. Il pomeriggio lo trascorriamo al centro giovanile. Bambini e ragazzi affollano la sala del calciobalilla. Accettiamo sfide che puntualmente ci vedono soccombere. Alle sedici si replica. Partita di calcio. Un’altra sfida. Siamo schierati tra i biancorossi locali, Cristiano, Nicolò e il sottoscritto (azzoppato dopo trenta secondi dall’inizio, ma che stoicamente rimane in campo per tutto il primo tempo) completiamo la rosa degli undici. Cristiano, probabilmente conoscitore dello stile locale, raccomanda ripetutamente, prima del fischio d’inizio, fair play. E’ un’amichevole che vuole essere divertimento e un po di movimento. Per noi extracomunitari. Non per i nostri compagni di squadra, tantomeno per i nostri avversari. Un arbitraggio alquanto discutibile, severamente bocciato da qualunque quotidiano sportivo, fischia in continuazione falli di mano e di fuori gioco. Inesistenti. Gli unici a protestare siamo però solo noi. Anche nella sportività avremmo qualcosa da imparare… risultato finale: 5 a 1. Con quattro gol azzurri.
Roberto Rossi
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