reportage Uganda
Moroto 27 luglio 2007
E’ venerdì. Mi capita di pensare come quando ero a militare (tragico periodo del mio passato). Contavo i giorni che mi mancavano al congedo. Però con un sentimento contrario. In quel caso non vedevo l’ora arrivasse quel momento. Ora, invece, vorrei non arrivasse mai il giorno del rientro dal Karamoja. O arrivasse un po più in là. Non già domani. Già, perché proprio domani lasceremo questo luogo magico. Fatto di estrema povertà, di mille contraddizioni. Però magico, incantevole, sublime… dove ho ritrovato un po di me, dove ognuno di noi ha trovato o ritrovato qualcosa di sè. Negli incontri di gruppo, dove si portavano a confronto le diverse sensazioni, le diverse emozioni, è emerso sempre costante un dato: il totale coinvolgimento con la realtà circostante, con le problematiche di questo popolo. Merito senz’altro di questa formula del “vieni e vedi” che non solo ti fa vedere, ma ti pone anche a diretto contatto con la gente, con la loro sofferenza, con il loro quotidiano dramma. Che è la fame, che è la sete. Merito di questa formula, ma anche di questi ragazzi. Un gruppo di giovani straordinario, che ha mostrato segnali di indignazione all’indifferenza. Che ha messo sul campo una sensibilità che è merce sempre più rara nella nostra società occidentale. Che ha messo sul campo tutto l’amore per il prossimo, per chi è svantaggiato, per chi soffre, per chi ha un futuro segnato da un cammino fatto di mille difficoltà, dove l’unico obiettivo è quello di riuscire a vedere la luce del giorno dopo. Da queste parti vivere alla giornata è già un lusso… qui si vive all’ora, al minuto, al secondo. Questo è uno dei paesi al mondo dove il tasso di mortalità infantile è a livelli topici, 137 su mille. E se si sale leggermente e si contano le morti entro i cinque anni di età, allora la proporzione si fa ancora più spaventosa con 248 su mille. Sono dati dell’anno duemila, che non registrano comunque variazioni significative negli ultimi tempi. Tutto è fermo, drammaticamente fermo. La luce della speranza è lasciata nelle sole mani di quelle ONG, di quei missionari, di quelle persone che sentono queste morti ingiuste, tremendamente ingiuste. Ma non sono tante queste mani. E sono sempre le stesse. Siamo andati a visitare ieri la scuola dei Casimiri. Una scuola governativa che sorge vicinissima al centro di Cooperazione e Sviluppo. Una di quelle scuole che l’associazione aiuta e sostiene fornendo alimenti e materiale didattico. Il direttore, le insegnanti e i bambini si erano preparati per accoglierci con una sorta di spettacolo che comprendeva balli, canti e musiche locali. Che raccontavano le loro tradizioni, i loro costumi, la loro storia. E’ stato organizzato all’interno di un ambiente per tre quarti diroccato, dove le pareti sono ancora su non si sa per quale mistero o strana formula fisica. Per due ore hanno raccontato, attraverso varie interpretazioni, le loro usanze. Per prendere moglie, che richiede un rito lungo e molto particolare. Per sconfiggere le malattie, come l’AIDS, qui ampiamente diffusa. Per insegnare ai piccoli, ma non solo, l’importanza di un’istruzione, il valore della scuola. E hanno recitato, questi bambini, questi ragazzi, con il solito entusiasmo che caratterizza ogni loro manifestazione, esprimendo una voglia di vivere che va oltre tutte le difficoltà di una miseria ai più alti livelli. Per dirci e per ricordarci qual è il vero valore della vita, che comunque merita di essere vissuta, qualunque essa sia. Che noi, sommersi dai nostri ridicoli problemi, troppo spesso dimentichiamo. Anche questo ci hanno detto questi bambini. Con la loro gioiosità, con la loro voglia di vivere, con la loro capacità di credere...
Roberto Rossi
|