complesso architettonico del tardo Medioevo a Paola
Il complesso architettonico dell’ex Convento di S. Agostino della città, sia artisticamente che attraverso fonti storiche, ci fa risalire al tardo Medioevo. Quando ancora non si pensava neppure ad una grande chiesa e ad un convento un benestante cittadino paolano, Francesco Piscione, là dove ora c'è la Chiesa, fece erigere una cappella. Non si sa se di questa cappella restino le tracce, che eventualmente potrebbero identificarsi con alcune strutture tardogotiche tuttora esistenti nella Chiesa. Quando l’insigne cittadino paolano si dedicava a questa pia opera correva l’anno 1390. A quel tempo l’Ordine degli Agostiniani cominciava a diffondersi in Calabria e da fonti indiscutibili risulta che i primi conventi agostiniani nella diocesi di Cosenza, cioè, S. Agostino in Paola e San Giovanni Vecchio Fuori le mura in Fuscaldo, risalgono al XIV secolo. L’ipotesi più verosimile circa l’iniziale sistemazione nel territorio di Paola degli Agostiniani è da associarsi alla donazione della cappella di proprietà della famiglia Piscione che si riservava alcuni privilegi. Benché molti movimenti, sia di canonici regolari che di monaci, si ispirassero ai principi spirituali di S. Agostino, precedentemente alla costituzione dell’ordine, esso giuridicamente fu fondato ed approvato il 1° aprile 1256 da Alessandro IV. Gli appartenenti all’ordine vennero chiamati “Eremitani di S. Agostino”.
Da questo ordine, nel secolo XVI, cioè, al tempo delle riforme monastiche si staccò un ramo detto dei “Recolletti” o “Romitani Scalzi di S. Agostino”. In Calabria i “Recolletti” fecero capo ad un riformatore, Francesco da Zumpano, e gli agostiniani seguaci di questa riforma furono anche detti Zumpani. La riforma degli Zumpani non interessò il Convento Agostiniano di Paola che non solo non ebbe bisogno di riformarsi, ma in tutto il secolo XVII diede alla provincia agostiniana di Calabria numerosi superiori, visitatori e vicari generali tra questi; i più celebri sono: Ferrante da Paola nel 1630; Lorenzo da Paola nel 1652; Giambattista da Paola nel 1685; Gregorio Gagliardi da Paola nel 1687; Ambrogio Marchesi da Paola nel 1691; Tommaso Sanniti da Paola nel 1695.
Quanto gli Eremitani di S. Agostino si insediarono in Paola trovarono la Chiesa del Convento già intitolata a S. Caterina V. M. ed essi per qualche tempo ne conservarono il titolo che poi trasferirono ad un’altra cappella, riservando alla loro chiesa quello di S. Agostino. L’interno del Tempio ha tracce di architettura gotica con abside a tre campate con volte a crociera. Nel portale esterno della chiesa, di stile gotico, è scolpito l'anno 1493. Questa data indica la costruzione della nuova struttura operata dai monaci sotto la direzione di un certo Antonio Catarrus di Paola, su richiesta evidentemente degli stessi, per scolpire il magnifico portale in pietra. Questo primo periodo rappresentò un’epoca florida per l’Ordine a Paola, e lo si deduce dal fatto che i frati fondarono una successiva chiesa dedicata a S. Giacomo, detta di S. Agostino pure del 1493. Il 2 luglio 1555 il Monastero fu assalito dalle orde turche le quali, una volta penetrati in città, erano riusciti a spadroneggiare anche dentro le mura di quest’ultimo tempio paolano. Non c'è dato sapere se i monaci guadagnarono la libertà nella fuga, ma è certo che l’edificio fu saccheggiato e danneggiato. Gli anni che seguirono furono tristi per Paola a causa della distruzione perpetrata dai turchi berberi, il primo restauro della chiesa del Monastero è registrato nel 1570. A provvedere a tale opera fu ancora chiamata la famiglia Piscione il cui nobile Marco Antonio si adoperò per riportarla all’antico splendore. L’anno successivo si ritorna a parlare della chiesa. Il motivo questa volta è legato alla sepoltura di alcuni ufficiali paolani di nome Camillo Carbonelli, Cola Zincone e un certo Canonici, morti nella battaglia navale di Lepanto del 1571. Costoro erano accorsi con altri cento volontari del posto ad aiutare l’armata austro-ispano-veneto-genovese, guidata da Don Giovanni D’Austria contro l’armata turca.
Dopo la vittoria cristiana e la spartizione del ricco bottino, le armate avevano fatto ritorno ai vari regni e, sull’esempio di questi, anche i soldati e ufficiali paolani ritornarono portandosi le loro salme. Nella chiesa di S. Agostino avvenne la tumulazione di questi eroi paolani e sulle loro lapidi furono scolpite figure di animali simili al cane. Così allora i calabresi identificavano i turchi e, quelle sepolture rappresentarono il riscatto, certamente orgoglioso, del conto in sospeso degli abitanti del posto verso i turchi dal lontano 2 luglio 1555. Le lapidi sono oggi scomparse, al loro posto sono però visibili le buche dentro cui erano custodite le salme. Sono dieci in tutto, di forma rettangolare, intervallate lungo il perimetro della navata centrale. Oltre a queste insigne figure, in periodi diversi furono tumulate le salme delle maggiori famiglie di Paola, le quali contribuirono ad abbellire nuovamente la chiesa con offerte cospicue e, per tale motivo era loro riservato un posto di rilievo nella chiesa. Buche quadrate lungo il pavimento della navata laterale, fanno ritenere che fossero state utilizzate per altrettante tumulazioni. I sei altari laterali disposti un tempo lungo la parete sinistra della navata centrale sono oggi del tutto scalzati. Essi si distinguevano tra di loro dagli stemmi araldici delle varie famiglie di cui uno ancora si ammira perché murato in alto, in cima all’ultimo altarino rimasto in vita. Lo stemma raffigura due colombe adagiate sulle foglie di un fiore, affiancate da due stendardi a destra e a sinistra. Uno di questi altari fu eretto nel sec. XVIII da Don Muzio Rosso, appartenente ad una delle famiglie gentilizie di Paola, il quale fu eletto nel 1704 capo dei Nobili della città. Costui era discendente niente meno di quel Muzio Rosso conosciuto nel 1648 come lo “zio segreto” del marchese di Fuscaldo. Il notaio Francesco Maddalena di Paola, l’11 febbraio del 1706 aveva protocollato un rogito di Don Andrea Miceli, figlio del fu Giuseppe, nel quale il testatore disponeva che fosse stato sepolto nella chiesa del convento di S. Agostino, “nella tomba gentilizia della sua Cappella sotto il titolo di S. Nicola”. Oltre a questi, altrettante famiglie benestanti fecero a gara per accaparrarsi gli altri altari. Il terzo altare fu riservato alla famiglia Piscione, antichi proprietari fondatori ed elargitori di quelle mura sacre. Il quarto altare si è dell'opinione che fosse appartenuto alla famiglia Perrimezzi. Dei restanti ultimi due non si è riusciti a scoprire i proprietari.
Questo monastero doveva essere molto importante in Calabria, poiché oltre ad assolvere alle funzioni di convento, nel 1693 vantava anche un “noviziato”, un ulteriore restauro della chiesa fu operato nel 1670 con la contribuzione di Marco Antonio Piscione già uomo di legge del seggio Napoletano. Sarà questo l’ultimo contributo elargito dall’antica famiglia per questa chiesa, anticamente di loro proprietà. Gli stessi erano riusciti ad inserirsi nella realtà napoletana già anni prima, infatti Marco Antonio Piscione sin dal 1658 aveva chiesto di essere sostituito nell'ufficio di vice-secreto del fondaco di Paola. Il 12 novembre del 1620 Giovan Battista Piscione, altro componente della citata famiglia, “de terra Paulae clericus Cusentiu” abbandonò la città dei suoi padri per accettare la carica di Protonotario Apostolico “ad petitionem Ducissae Montuan”. Nel corso degli anni successivi, non sopravvivendo nessun nipote di questo casato, non tanto per diritto di famiglia quanto per donazione, nell’anno 1745 un Carlo Maria Barone di Belmonte si impossessò della cappella dei Piscione. Il nuovo proprietario assegnò poi nel 1761 la medesima proprietà gentilizia ad un uomo benemerito paolano. Si trattava di un certo Carlo Mannarino che mantenne la proprietà attraverso i suoi discendenti. L’abate Pacichelli rammenta che gli Agostiniani fondarono il convento “da più secoli”. Dentro le mura fiorì una “scuola di Huomini grandi dè secondi dè quali scrive bene il P. Herrera, ecc.”, fra cui “il P Maestro F. Tommaso Maria Franza dè Predicatori Lettor Publico in Napoli, e nell’Accademia oggi vescovo di d’Oria, fra i numerosi paolani ad aver indossato il saio agostiniano, viene ricordato particolarmente il padre F Crisostomo Cubelli vissuto nel secolo XVIII, il quale fu confessore dell’Imperatrice Maria d’Austria e poi Vescovo di Rosone o Rossow in Germania (consonante finale poco chiara ai fini dell'identificazione della città), mensionato dal Pacichelli e dallo storico Elia Amato il quale scrive testualmente “... Chrysostomus Cubelli, Agustianus excalceatus imperatricis Mariae de Austria confessarius deinde Roxoni in Germania antises...”, un dato storico, questo molto prestigioso per l’Ordine Agostiniano e per la stessa città di Paola, ma controverso secondo altri studiosi. Ad onorare ulteriormente la città sarà ancora la famiglia Cubelli o Cobelli, per aver dato i natali ad un altro componente della famiglia di nome Prospero, morto in odore di santità, il 9 dicembre 1736 il monastero fu scelto quale sede di trattative da un parlamento popolare, impegnato nella trattazione di un ennesimo aumento della farina operato dai gabellieri comunali, dietro direttive del marchese Spinelli. Le ragioni che spinsero i paolani a tumultuare, furono riposte nelle discussioni dei parlamentari chiusi nelle mura del convento, con la collaborazione dei frati Agostiniani, mediatori quest’ultimi fra un agguerrito popolo accampato attorno al monastero e i delegati del marchese. Anche nei giorni successivi l’edificio sacro fu testimone di altrettanti sviluppi dell’infuocato problema, risolto poi successivamente a vantaggio del marchese del luogo.
Il vasto appezzamento di terra attorno al monastero, una vasta area delimitata in parte da mura, per secoli fu detenuto dai monaci, i quali lo coltivavano a giardino. Un comprensorio questo che aiutò a sfamare quegli abitanti e che fece loro godere di una certa autonomia alimentare. Con la conquista del Sud da parte dell’esercito napoleonico del 1806, iniziano per il monastero momenti tristi, in conseguenza della legge eversiva napoleonica infatti, il convento fu soppresso il 7/8/1809. Al momento dell’abbandono risultava abitato da otto sacerdoti e sei laici. Tutti i documenti che anticamente facevano parte del suo archivio-biblioteca, furono versati all’Amministrazione Diocesana di Cosenza nel 1819. L’inventario di tutti i libri, documenti, pergamene, manoscritti, platee ed altre scritture, utili per una proficua ricostruzione della sua storia, furono raccolti e catalogati dal Direttore del Registro e bollo dell'allora provincia di Calabria Citra, nella persona del Sig. D. Giuseppe De Falvo segretario presso l’Amministrazione Diocesana di Cosenza il 2 giugno 1819. Ecco in sintesi di cosa era fornito l'archivio-biblioteca: “Libro di censi dell’infermeria in due parti. Prima parte di carte in fogli tot. 36 che contiene le somme scritte della (poco chiaro) censo dal 1671 al 1797. Seconda parte di carte fogli tot. 20, le somme entrate in cassa sui censi affrancati dal 1696 al 1790. Libro dei censi (poco chiaro) dal 1779 al 1809. Libro manuale di esenzione di carte scritte, tot. 49. Platee su carte comuni del (poco chiaro) convento di scritte tot. 141. Platee in carta pergamena di tutti gli effetti del monastero di carte scritte, tot. 143 di (poco chiaro), di altre carte scritte, tot. 10. Dal libro sono in tutto carte scritte tot. 153”. In seguito alla soppressione del 1809 e anche dopo tale parentesi, nonostante che altri conventi ritornassero ad essere abitati, il monastero dei frati Agostiniani rimase chiuso. Lo stato di abbandono ebbe dunque inizio da allora e lo si apprende particolarmente dalla visita pastorale effettuata il 16 maggio 1828 dall'Arcivescovo di Cosenza in visita per le diocesi. Il cronista scrive che fra le visite fatte a Paola nel corso della giornata, la terza fu dedicata “alla chiesa del soppresso Monastero dei PP. Agostiniani, fatto il discorso di S. Eminenza del buon consiglio, la quale si è trovata in pessimo stato, per cui gli alberi, dove il maggiore, quello di S. Biagio, situato nella parte destra dell'ingresso della porta maggiore, di padronato di Don Nicola Focarelli, erano in mediocre stato, sono stati tutti interdetti”.
Gli Agostiniani uscirono in silenzio dalla scena del culto locale senza lasciare ulteriori tracce. Il monastero rimase chiuso per lungo tempo, mentre la chiesa fu associata a quella del Duomo, i cui parroci furono gli unici a celebrarvi qualche messa e, secondo altre fonti, a organizzarvi le poche processioni delle statue di santi, fra cui quella di S. Biagio. Del contributo sociale e culturale operato dall’Ordine Agostiniano nella comunità paolana durante la loro lunga permanenza, non è rimasto niente all’infuori di una quartina che, come nenia le nostre antenate cantavano ai bambini per addormentarli. Essa recita così: “S. Agostino nun vulia lu lattu vulia calamai pinna e carta. S.Agostino nun vulia la minna vulia calamai carta e pinna”, dopo il 1830 non si registrano notizie significative sulla storia di questo monastero. Per avere nuovamente notizie di esso, bisogna attendere la fine del secolo scorso. Nonostante la chiesa continuasse ad essere chiusa, il convento fu oggetto di interesse da parte delle locali autorità. Un’ala del vasto edificio fu adibito ad ospedale, fatto ricordato largamente dalle memorie dei vecchi paolani.
Una successiva ala del fabbricato, inoltre, viene ricordata come quartiere militare, da qui poi il nome “u quartieri”, spazio adiacente attorno ad una parte di esso. I piani sottostanti all’ospedale furono successivamente utilizzati come carcere per uomini e donne i quali funzionarono fino ai primi degli anni sessanta. Chiuso da tempo l’ospedale, i locali furono riaperti per ospitarvi, per pochi anni, la scuola media Dante Alighieri. Nei medesimi anni sessanta, nella stessa ala in cui oggi aveva sede il Centro di Cultura Popolare UNLA, fu allestita una capiente mensa che diede da mangiare ai bambini delle scuole elementari. Essa raccoglieva attorno a sé numerosi giovani che si ritrovavano con il Sig. Scerra Menotti, uno degli ultimi autentici artigiani paolani, maestro nell'arte della scultura del legno. Nel tempo, istaurarono anche il museo dell’Arte Popolare.
testo a cura di Don Raimondo Verduci e Giovanni Panaro
da www. comune.paola.cs.it
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