Conoscere Roma: Palazzo Spada

Conoscere Roma: Palazzo Spada

breve storia e le opere

La Galleria è ubicata al primo piano, in un'ala seicentesca del Palazzo,
appartenuto al cardinale Girolamo capodiferro (1502-1559) che lo aveva fatto
edificare su edifici preesistenti di proprietà della famiglia, a partire dalla
fine del 1548, dall'architetto Bartolomeo Baronino (1551-1554) di casale
Monferrato.

Quasi del tutto ultimato nel Giubileo del 1550, anche relativamente alle
decorazioni in stucco che impreziosiscono la facciata e il cortile, e agli
stessi cicli pittorici del Piano Nobile, il Palazzo Capodiferro passò nel secolo
successivo al cardinale Bernardino Spada (1594-1661) che lo acquistò ne luglio
del 1632 da un erede Capodiferro, per 3200 scudi.

Fin dall'atto dell'acquisto Bernardino diede inizio ad una serie di
lavori che ebbero durata trentennale e che effettivamente conferirono al Palazzo
un nuovo e più godibile aspetto.

Percorrendo il cortile del Palazzo dall'ingresso principale, si scorge sul lato
sinistro, attraverso l'apertura centrale con cancello di noce, la celebre
galleria prospettica, che si spinge al di là del giardino piccolo dei melangoli,
restituita alla sua immagine originaria da un recente e laborioso intervento di
restauro.
La sensazione di stupore che si prova al primo sguardo è suscitata
dalla profondità illusoria che essa suggerisce, di circa 35 metri, ben diversa
da quella reale che è di 8,82 metri. L'effetto ingannevole si basa sulla
convergenza dei piani del colonnato che anziché procedere parallelamente
confluiscono verso un unico punto di fuga, degradando dall'alto in basso e
rimpicciolendosi al fondo, mentre il pavimento in mosaico sale.
Prima ancora che il Principe Clemente Spada (1778-1866) nel 1861,
collocasse nella parete di fondo la statuetta del guerriero di epoca romana, ora
sostituita da un calco, il senso prospettico veniva ulteriormente accentuato
proprio dal fondale dipinto a finta vegetazione.

Realizzata nell'arco di un solo anno, dal 1652 al 1653, dal Borromini,
coadiuvato dal Padre agostiniano Giovanni Maria di Bitonto, la galleria
testimonia gli interessi che il committente, il cardinale Bernardino Spada,
riservava per i giochi prospettici, suggeritori di spazi illimitati inesistenti,
e di cui aveva già dato ampia dimostrazione nel 1635, facendo decorare dai
quadraturisti bolognesi Agostino Mitelli e Michelangelo Colonna, all'interno del
Palazzo, le pareti del salone di Pompeo con prospettive illusionistiche. Del
resto, anche la galleria prospettica venne eseguita ad affresco in una prima
versione.

Nel 1642 il Cardinale fece dipingere dal pittore Giovanni Battista
Magni (Modena, 1592 - Roma, 1674) una veduta prospettica sulla stessa fronte del
muro di cinta del giardino segreto ove poi il Borromini aprì quella vera.
Frammenti consistenti rinvenuti durante l'ultimo restauro, mostrano colonne dal
capitello dorico, le stesse adottate nella costruzione dall'architetto.
La ripresa di un siffatto colonnato, fu suggerita a Bernardino dalla
visione di uno scenografico apparato liturgico disegnato dal Borromini per la
celebrazione delle "Quarantore" nella cappella Paolina in Vaticano, e a cui
aveva fatto pure riferimento Virgilio Spada nella realizzazione del tabernacolo
prospettico nella Basilica di San Paolo Maggiore a Bologna, eseguito non a caso,
da Padre Giovanni Maria da Bitonto. Le circostanze favorevoli che indussero
Bernardino a convertire la prospettiva ad affresco in una prospettiva "reale" e
a sfondare quindi il prospetto murario, fu la concessione nel 1652 di una
striscia di terreno di proprietà della famigli Massari, confinante con il suo
giardino.
Il cardinale poteva così mettere in atto uno dei più ingegnosi artifici
dell'arte barocca, attribuendogli forse il significato morale dell'inganno dei
sensi e dell'illusorietà delle grandezze terrene.

La maggior parte delle opere esposte proviene dalla collezione di Bernardino
Spada (1594-1661) successivamente accresciuta di nuove acquisizioni ad opera del
suo pronipote il cardinale Fabrizio Spada (1643-1717). Un contributo minore ma
di una certa rilevanza si deve alla passione collezionistica di Virginio Spada
(1596-1662), mentre in seguito al matrimonio di Orazio Spada con l'ereditiera
Maria Veralli nel 1636, entrarono a far parte della collezione numerose opere
antiche e moderne di notevole importanza.

Le opere

Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino
La morte di Didone (1631)

L'opera venne commissionata al pittore dal Cardinale Bernardino per la Regina di
Francia Maria de' Medici e acquistata da lui stesso per 400 scudi nel 1631, dopo
che la Regina dovette rifugiarsi in Belgio per motivi politici.
L'episodio è narrato nell'Eneide (IV, 642-705): fallito ogni tentativo
di convincere Enea a non partire, Didone chiese alla sorella Anna di preparare
un rogo nel cortile del palazzo con la scusa di bruciare le cose del suo amato.
Non appena vide partire le navi troiane, si gettò ella stessa sul rogo e si
trafisse con la spada di Enea.
Attorno a lei le ancelle piangono, mentre la sorella, riccamente
abbigliata, apre le braccia in segno di dolore. Sullo sfondo le navi di Enea
abbandonano la costa mentre Cupido si allontana. A destra un personaggio dal
cappello piumato e spadone indica la scena allo spettatore come se fosse una
rappresentazione teatrale.
L'opera, notevole per l'apparato scenografico e la ricchezza dei
costumi è resa con senso plastico e coloristico, caratteristiche peculiari della
produzione del pittore, desunte da esperienze venete, bolognesi e ferraresi.


Tiziano Vecellio
ritratto di violinista (1515)

Il ritratto di violinista dallo sguardo intenso e misterioso evidenziato dal
lampo di luce che ne illumina il volto. l'opera, ad olio su tela, di alta
qualità, è riferita al Tiziano che la eseguì intorno al 1515, lasciandola
tuttavia allo stato di abbozzo.


Francesco Castelli detto il Borromini
Prospettiva (1653)


Francesco Trevisani
Festino di Marcantonio e Cleopatra (1702)

L'opera fu commissionata da Fabrizio Spada e pagata nel 1702. La scena è tratta
da Plinio (Hist. Nat. IX,cap. LVIII).
Marcantonio, invitato da Cleopatra ad un banchetto, rimase colpito dal
grande fasto. Per dimostrare la sua indifferenza alle ricchezze, Cleopatra tolse
da un suo orecchino una perla preziosa e la sciolse nel vino. Mentre si
accingeva a ripetere il gesto, Marcantonio la fermò, dichiarandosi vinto.
Tutt'intorno i servitori che vanno e vengono con cibi e bevande; in primo piano
un nano che tiene un cane al guinzaglio.
Nell'episodio, descritto con gusto teatrale, trovano posto preziosi
particolari che fondono insieme elementi della tradizione veneta cinquecentesca
con quelli del classicismo romano.

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