nel racconto di Augusto Quadrelli
Con questo appuntamento Vissi di Viaggio chiude la visita in Val Tidone, andando ad esplorare in alta valle una delle infrastrutture più significative che ha rappresentato, come vedremo in seguito, un importante motore per l’economia locale: la Diga di Molato. Si potrà facilmente evincere che l’invaso ha caratterizzato sensibilmente il profilo di questo territorio, sotto l’aspetto storico, ambientale e sociale. In seguito ad una ricerca effettuata presso biblioteche, internet e materiale di mia proprietà sono riuscito a risalire ai seguenti dati, per lo più di carattere tecnico. Si tratta di una diga di tipo “ad archi multipli in calcestruzzo, con tronchi laterali a gravità” i cui lavori ebbero inizio nel 1921 e termine nel 1928, in piena epoca fascista. Commissionata dal Consorzio di bonifica della Val Tidone, la diga sorgeva per finalità di accumulo e regolazione delle acque del Tidone per l’irrigazione dei terreni della vallata medesima e per la produzione di energia elettrica nella centrale incorporata e nella sottostante centrale di Pianello. Ma non solo: la sua costruzione ebbe anche l’importante funzione di difesa della campagna a valle, tormentata dalle frequenti rovinose piene del torrente. Annoto inoltre che il bacino è chiamato, oltre che con l’attuale denominazione Diga di Molato, anche Lago di Trebecco, poiché quando ebbero inizio i lavori e fino al loro termine, l’area su cui sorgeva era parte del territorio di Trebecco, all’epoca Comune, prima dell’unificazione con Nibbiano. Altre informazioni decisi di raccoglierle sul posto. Così, dopo una visita alla diga, mi recai al Comune di Nibbiano dove conobbi Giovanni Dotti il quale mi segnalò la memoria storica della Diga di Molato, nella persona di Augusto Quadrelli. Lo chiamai e prontamente si mise a disposizione per raccontarmi quelle peculiarità e curiosità che quasi mai i libri riportano. Andai così a trovarlo nella sua bella casa di Nibbiano in compagnia di Mary e, da subito, fu chiaro che avevamo di fronte “l’uomo giusto”. Dapprima raccontò alcune sue storie personali, delle due guerre e del dopoguerra, del suo trascorso di balilla e dei suoi 36 anni come dipendente comunale di Nibbiano. La lucidità nel discorrere e la precisione dei dati che snocciolava erano tali di una mente fresca, giovane. Nessuno potrebbe mai attribuire ad Augusto i suoi 91 anni. L’inizio è di chi è consapevole del proprio know how, dicendosi pronto a rispondere a tutte le domande che avrei voluto porre. Preferisco lasciarlo parlare a ruota libera e così parte affermando l’importanza che ha rappresentato la diga per l’economia locale e, mentre mi racconta, contemporaneamente stila un elenco fatto di attività che operavano a Nibbiano in quegli anni, tante delle quali sorte proprio in concomitanza con l’inizio dei lavori. Tanti tra operai, tecnici e professionisti vennero chiamati in valle per contribuire alla realizzazione dell’invaso, provenienti da ogni parte d’Italia. Conseguentemente sorse l’esigenza di alloggi, cosicché si affiancarono all’Albergo Genova e all’Albergo Isidoro, le due strutture ricettive del paese, tante altre soluzioni abitative rappresentate dalle case, i quali proprietari si prestarono ad offrire le camere che avevano a disposizione. Diverse anche le osterie, Della Frasca, Del Ginepro, Pirola; Il bar della Stazione di Pozzi Carlo, quello di Colombini Rosa, e poi pasticcerie, una delle quali vendeva anche berretti da marinaio che Augusto usava a volte per metterci dentro i pesci che si trovavano sul fondo della diga quando veniva svuotata. Poi macellerie e salumerie, lattivendoli e ciambellai, negozi di vario genere e due farmacie. Anche panetterie, una delle quali gestita da Labò Camillo il quale, ricorda Augusto, tutte le mattine caricava il pane nelle gerle di vimini e le portava, in bicicletta, ai lavoratori della diga. Qualche minuto si sofferma a parlare del babbo Giacomo, commerciante di legname. Poi riprende con dati più specifici riguardanti la costruzione e ci parla del progettista, certo ing. Ballabio e del direttore dei lavori ing. Guido Comboni. Nel ’23 – prosegue – alle precedenti imprese subentra la ditta Filippa di Torino, imprenditore che divenne per il paese un vero benefattore, facendo costruire un piccolo teatro all’interno delle scuole elementari, un asilo, e un santuario dedicato alla Madonna in stile neoromanico, a Montelungo di Ruino in provincia di Pavia, a ringraziamento per il compimento dell’opera. Ricorda poi la difficoltà nello svolgimento dei lavori e le grandi fatiche che gli operai dovevano affrontare, date le numerose operazioni che venivano realizzate manualmente. Racconta dei ciottoli del Trebbia che venivano trasportati alla cementeria con l’uso di carretti trainati da buoi lungo strade impervie e sconnesse, per essere trasformati in ghiaia e cemento. Poi dice che ha una sorpresa per me. Sale al piano superiore e se ne ridiscende dopo pochi minuti stringendo tra le mani un documento che è facile intuire trattasi di qualcosa che custodisce come una reliquia. Mi porge un libretto datato 1953 che dice essere stato redatto e realizzato dalla nipote Loredana Quadrelli, titolato “Diga del Molato” estratto da “Le dighe di ritenuta degli impianti idroelettrici italiani”. La piccola pubblicazione contiene però tanti dati tecnici, alcuni dei quali mi hanno dato tuttavia spunti interessanti. Descrive la sua ubicazione, riportando che “la diga sbarra il Tidone alla stretta di Molato, 250 mt. a monte della confluenza del torrente Molato con il Tidone”; circa la struttura dell’opera riporta che “la parte centrale ad archi multipli consta di 17 volte in calcestruzzo armato che scaricano su 16 speroni intermedi…”. Molto interessante è la parte fotografica dell’opuscolo, con immagini dell’invaso durante i lavori, come anche le planimetrie, i grafici e le carte tecniche dove si evince la capacità utile della diga pari a 12 milioni di metri cubi. Riprendendo a discorrere con Augusto a ruota libera si ritorna sui benefici conseguenti alla costruzione e parla del recupero ambientale del Monte Bissolo e dell’area naturalistica di Trebecco. Qui infatti si sviluppa un interessante itinerario naturalistico salutistico, con un percorso che consente una facile passeggiata che conduce all’acqua solforosa. Per la visita alla diga è invece necessario superare la deviazione per Nibbiano, entrare e procedere oltre Caminata, e qualche chilometro dopo la si trova sulla sinistra, in corrispondenza di Case Marchesi. A dominare l’invaso, lungo la strada, sorge il Ristorante 4 venti, con ampia veranda e spazio all’aperto. Sono trascorse circa tre ore piacevolissime in compagnia di Augusto, tra un caffè ed una buona fetta di crostata preparata dalla moglie. Mentre con Mary sto dirigendomi verso l’uscita di casa, il mio cicerone mi chiede se abbiamo fatto un buon lavoro, se è stato esauriente; una stretta di mano ed un abbraccio per dire si, caro Augusto, sei veramente un grande, in gamba, continua così!
Nei dintorni
Monte Pietra di Corvo e Giardino di Pietra Corva Dalla Diga di Molato si prosegue in direzione Zavattarello e poi Romagnese in territorio pavese, per poi rientrare nella provincia piacentina svoltando a sinistra per Praticchia. Raggiunge un’altitudine di 1078 mt., da dove si apre un panorama che si estende dalla Val Tidone alla val Trebbia, dal Penice alle Alpi. A 950 mt. sorge il Giardino Alpino di Pietra Corva che nasce con l’obiettivo di conservare piante di alta quota provenienti da diversi sistemi montuosi. E’ dotato di un centro visite e sviluppa un’attività didattico-educativa e di ricerca scientifica. Un bel percorso è quello che inizia con il sentiero 201, all’altezza del parcheggio del Giardino Alpino. Si gira a destra appena prima dell’ingresso all’orto botanico, entrando in una piccola valle; si supera un corso d’acqua, ci si addentra nel bosco e si guadagna quota 1022 mt. dove si trova il segnavia n° 101. Per una bellissima veduta sulla Val Trebbia si sale al Pian Perduto, o in alternativa si percorre il 101 che risale il Monte Pietra di Corvo. Al ritorno si scende ancora il 101 fino ad un bivio che piegando a sinistra da inizio ad uno sterrato che corre a fianco della parete del monte, portando nuovamente all’ingresso del Giardino Alpino.
APERTURA AL PUBBLICO dal 1 aprile al 30 settembre dalle ore 9 alle 12 e dalle 15 alle 19. Giorno di chiusura: lunedì
Nei mesi di massima fioritura, aprile, maggio e giugno, l’affluenza è quotidiana e le visite dei gruppi devono essere prenotate - Tel. 0382 597865 Sig.ra Emanuela Piaggi.
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da La Cronaca Roberto Rossi
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