tradizioni del Cilento
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati, a livello internazionale, da una ricerca quasi spasmodica da parte di taluni, non solo di opere d'arte o pezzi di antiquariato ma anche di prodotti artigianali di qualità. Si sa che ciò è stato favorito da una notevole disponibilità di capitali da investire in un bene ritenuto sicuro, ma non da sensibilità estetica: altrimenti non si spiegherebbe come non ci sia stata una corrispondente crescita culturale e di valori spirituali.
Nelle piccole comunità del Cilento, come di riflesso, è avvenuta la stessa cosa. Ma, non potendo questa terra offrire una vasta produzione di arte o pezzi di buon antiquariato, si è cominciato a custodire con taccagnerìa ogni elemento che poteva apparire di valore, dopo che il meglio era stato ormai derubato o svenduto. E come sempre capita, si è cominciato ad apprezzare il valore culturale degli oggetti antichi o rustici quando ormai ne sono rimasti ben pochi; solo allora sono stati "scoperti" come "segni" di quell'identità che, perduta negli anni del facile benessere, la si ricerca oggi come un relitto da salvare in extremis.
A questo proposito dobbiamo qui citare alcuni tentativi fatti negli anni scorsi per valorizzare l'arte popolare e l'artigianato, finiti poi nel nulla per una serie di contingenze a cui il Cilento non è nuovo.
Nell'estate del 1983 fu organizzata la "Prima Mostra dell'Artigianato e dell'Arte popolare", che riscosse un notevole successo, per la novità della cosa e soprattutto per il fervore con cui soprattutto gli stranieri ammirarono e acquistarono moltissimi pezzi. L'anno successivo si volle ritentare l'iniziativa e fu designato Palinuro come sede: il 16 luglio la mostra doveva essere aperta ufficialmente; ma il giorno precedente un gruppo di commercianti sostenuti dai familiari, protestarono vivacemente in piazza Virgilio, dove si stavano allestendo gli stands.
L'atmosfera surriscaldata convinse gli organizzatori a spostare la mostra a Marina di Camerota, ove si tenne negli ultimi giorni di luglio e da dove il 6 agosto venne poi trasferita a Marina di Ascea. L'Ispes (Istit. per la promozione e lo sviluppo economico e sociale), che aveva finanziato in parte l'iniziativa, si era assunto anche l'incarico di formare le nuove leve dell'artigianato e di fornire fattive possibilità di lavoro, oltre ad impegnarsi successivamente affinché la mostra non fosse rimasta fine a se stessa, anche al fine di commercializzare i prodotti. Ma tutto finì lì: gli artigiani-artisti tornarono alle loro case coi loro bei pezzi invenduti, le amministrazioni e le Pro-Loco non avevano percepito il messaggio e di lì a poco l'Ispes, come d'incanto, scomparve. Altri istituti della capitale hanno poi negli anni successivi messo i loro tentacoli sul Cilento: è una serie di sigle tra le quali è difficile orientarsi (Formez, Cesvic, CSC, ecc.), tutti con gli stessi criteri e sistemi: preparano megalitici progetti, percepiscono fondi dallo Stato e poi scompaiono o vivono latitanti sul territorio.
Per fortuna, di tutto questo atteggiamento di non-cultura, non sono rimasti vittima i pochi anziani artigiani-artisti che hanno continuato a coltivare in silenzio la loro "passione" di scultori, incisori, decoratori: i loro pezzi si fanno ammirare e si elevano al di sopra dello squallore di questo Cilento contemporaneo, senza estetica e culturalmente colonizzato, perché essi hanno conservato la genuinità antica e l'autenticità culturale.
cura di Amedeo La Greca
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