approfondita ricerca dalle origini
Il primo studio in assoluto sul dialetto cilentano è la lettera di Federico Piantieri dal titolo Del Cilento e del suo dialetto, del 20.11.1869, indirizzata a Ernesto Palumbo, officiale della Biblioteca Naz. di Napoli. Si tratta di un opuscolo di 14 pagine; ne è stato ristampato il testo integrale in appendice al mio volume Il dialetto del Cilento.
In tale studio il Piantieri elenca una serie di vocaboli, a volte accompagnati dall'etimologia, che a suo parere possono "illustrare il dizionario patrio": iddo, chero, chera, agresta, appisolare, avvitare, ciminera, golio, ingannare, mantesino, pagliaro, peculare, pecolare, spettorone, stutare, susare, tata, tozzolare, vasata, zippo. E conclude: "...raccomando a tutti gli amatori dell'idioma italiano di mettere in pubblica mostra i tesori di tanti vernacoli".
Sembrerebbe quindi che egli ritenesse legittimo ampliare il "dizionario patrio", la lingua italiana, con i vocaboli, i "tesori", tipici dei vari dialetti. In quegli anni, dopo l'unità d'Italia, volenterosi amatori intraprendevano raccolte di canti e racconti popolari, e compilavano vocabolari dialettali.
Una di queste opere fu quella di A. Zuccagni-Orlandini, raccolta di dialetti italiani con illustrazioni etnologiche (Firenze, 1864). Questo studioso non riportò testi genuinamente dialettali, ma scrisse un dialogo-base tra due persone in italiano, e lo "tradusse" di volta in volta nei vari dialetti: in piemontese, veneto, napoletano, ecc. Nella raccolta mancava la versione in dialetto cilentano, e il Piantieri, per colmare questa lacuna, riporta alla fine della sua lettera il dialogo-base dello Zuccagni-Orlandini, tradotto in "cilentano marittimo", "per poco differente da quello montanaro". Si tratta, evidentemente, di una testimonianza preziosa, consapevole delle differenze dialettali fra la costa e l'interno. Ma il Piantieri si ferma al cilentano "marittimo", certamente anche allora più vicino al parlare napoletano.
Da poco tradotto in italiano (Editore Galzerano, Casalvelino Scalo, 1996) è il volumetto di LEWIS AMEDEUS ONDIS, Phonology of the Cilentan Dialect - With a Word-Index and Dialect Texts, di 128 pp., edito a New York nel 1932 (Publications of the Institute of French Studies): il Rohlfs lo critica per la mancanza di scientificità, ma certo non viene meno la sua importanza, come uno dei primissimi studi sul dialetto cilentano, con la trascrizione di documenti dialettali (probabilmente ripresi dalla tradizione orale degli emigrati italo-americani). L'edizione italiana, con traduzione curata da Cosimo Corsano, e con una bella prefazione di Giuseppe Galzerano, riporta anche il testo integrale inglese del libro.
Dopo una introduzione storica sul Cilento, Ondis passa a confrontare la posizione del dialetto cilentano rispetto ai dialetti limitrofi. Analizza poi i suoni: vocali accentate e non accentate, consonanti continue, nasali, ecc. In appendice, troviamo un racconto e alcuni strambotti, in dialetto e con la versione italiana e inglese.
Anche l'articolo di GERHARD ROHLFS sul dialetto cilentano è stato recentemente tradotto, a cura dell'Università degli studi della Basilicata (G. ROHLFS, Studi linguistici sulla Lucania e sul Cilento, Congedo Editore, Galatina, LE, 1988; traduzione a cura di Elda Morlicchio, patrocinata dall'Università degli Studi della Basilicata di Potenza; pp. 119. Prima di questa nuova traduzione, l'articolo era comparso in appendice al volume di Alessandro Pinto Costa dei miti, Comunità Montana Lambro e Mingardo, Futani-Salerno, 1986, pp. 89-105, con una traduzione parziale).
Il volume raccoglie tre articoli apparsi negli anni Trenta sulla rivista Zeitschrift für Romanische Philologie. Il primo, "Colonie linguistiche galloitaliche in Basilicata" (1931), tratta del dialetto della zona di Potenza; il secondo articolo, "Colonie galloitaliche sul golfo di Policastro" (1941), è relativo al territorio lucano che si affaccia sul Tirreno. Il terzo articolo è quello che ci interessa più da vicino: "Dialetti e grecità del Cilento" (1937), alle pagine 77-118.
Ma veniamo al contenuto. Il Rohlfs, dopo una breve introduzione geografica sul territorio cilentano, si sofferma su alcuni fenomeni linguistici quali la dittongazione, il sistema delle vocali e l'esito delle consonanti, a partire dal sostrato latino; seguono alcune osservazioni sulla morfologia. Successivamente viene presentato un glossario con una scelta di circa 400 termini rari o arcaici; per ciascuno è dato il significato, la probabile etimologia e gli eventuali termini simili di altri dialetti. In tutto l'articolo, è utile ricordarlo, i termini dialettali sono riportati in rigorosa trascrizione fonetica. Dopo aver trattato del dialetto, segue un paragrafo sulla grecità del Cilento. L'influsso greco è presente, secondo l'autore, in diversi toponimi ed elementi del lessico, accuratamente elencati. Un breve excursus storico sulla presenza greca nell'antichità e nel medioevo evidenzia che lo sviluppo storico-culturale del Cilento coincide largamente con quello del territorio confinante a sud, e che la sua grecità sta in un insieme organico con la grecità del territorio calabro-lucano. La storia però non offre indizi certi per attribuire gli elementi linguistici greci ad un determinato periodo, ed è quindi necessario basarsi su deduzioni tratte dall'esame del materiale linguistico. Secondo il Rohlfs, alcuni elementi sono attestati solo nel periodo greco antico, e ciò lo porta a concludere che "i relitti lessicali greci del Cilento rimandano prevalentemente all'antichità".
Queste affermazioni provocarono allora la pronta risposta dello studioso italiano GIOVANNI ALESSIO, con l'articolo "L'elemento latino e quello greco nei dialetti del Cilento" (Rendic. Istituto Lombardo, Classe Lettere, II, n. 76, 1942-43, pp. 341-360). L'Alessio riesamina le forme lessicali e i toponimi studiati dal Rohlfs, e respinge la sua teoria dell'ininterrotta grecità del Cilento, sostenendo che la grecità cilentana consta di due strati sovrapposti: il primo è costituito da termini di origine greca antica ma passati attraverso il tramite del latino; il secondo, più recente, è da attribuire all'invasione linguistica bizantina. Fra i due strati greci, insomma, vi sarebbe uno strato latino, dovuto a un lungo periodo di "romanizzazione", determinante per l'evoluzione linguistica del territorio.
Altri studi più recenti sul dialetto cilentano, o suoi aspetti particolari, sono:
TEMISTOCLE FRANCESCHI, "Relazione di Laurino (Salerno)", in Bollettino dell'Atlante Linguistico Italiano, N.S., 7/8, 1962, pp. 31- 38.
C. BATTISTI, "Penombre nella toponomastica preromana del Cilento", in Studi Etruschi, II, 32, 1964, pp. 257-308. L'autore esamina alcuni toponimi cilentani rilevandone l'origine anteriore all'occupazione romana.
MICHELE NIGRO, Primo dizionario etimologico del dialetto cilentano, CGM, Agropoli, 1989. E' una raccolta di circa 17.000 voci, importante recupero di un patrimonio linguistico in via di dispersione, e documento storico del vissuto nelle terre cilentane.
COSMO SCHIAVO, "Il dialetto dell'alta valle del Calore", in Annali Cilentani, 3, 1990, pp. 131-167.
NICOLA IAVARONE, "Brevi note sul dialetto cilentano", in Annali Cilentani, 7, 1992, pp. 88-94.
EDGAR RADTKE, "G. Rohlfs e i dialetti campani", in AA.VV., Le parlate lucane e la dialettologia italiana (Studi in memoria di Gerhard Rohlfs), Atti e memorie dell'Università degli Studi della Basilicata, n. 8, Galatina, Congedo Editore, 1991, pp. 107-115. Pur se breve, l'articolo si rivela interessante, mettendo in luce i meriti della ricerca del Rohlfs in Campania. Ancora oggi le nostre conoscenze dei dialetti campani sono lacunose ("i dialetti campani rientrano nel novero dei dialetti d'Italia meno studiati e descritti in maniera soddisfacente", p. 110), per cui le ricerche del Rohlfs conservano sempre una grande attualità. Lo studioso fu un innovatore nella metodologia della ricerca linguistica, perseguendo, nello studio di una determinata area, costanti indagini sul campo, confronti con i dialetti delle aree vicine, arricchimento dei dati puramente fonologici con lo studio della morfologia e della sintassi. L'articolo del Rohlfs sul Cilento è poi "uno degli approcci dialettologici più completi che collega la fonetica storica, il lessico e la storia linguistica con un'interpretazione sempre valida e sempre in grado di promuovere nuovi stimoli. E' un peccato che l'attività pioneristica del Rohlfs non abbia avuto seguaci per l'area che qui ci interessa" (p. 112).
Sul modo di lavorare di Rohlfs vedi anche C. GRASSI, "Gerhard Rohlfs tra lessicografia e geografia linguistica delle parlate italiane", in AA.VV., Le parlate lucane e la dialettologia italiana (Studi in memoria di Gerhard Rohlfs), cit., pp. 53-61. Con Rohlfs "la considerazione etnografica si fa sistematica", e "assistiamo così all'irruzione del mondo contadino nella lessicografia dialettale italiana: un mondo che non è più vago e imperfetto riferimento, al più filtrato attraverso il borghese compilatore del vocabolario, ma che viene esplorato dall'interno, con la consueta strumentazione degli atlanti linguistici. In sostanza, con Rohlfs viene definitivamente fatta giustizia di una lessicografia dialettale italiana che ha avuto indubbiamente grandi meriti, ma che restava unilaterale ed etnocentrica, frutto per lo più di una cultura borghese e cittadina e non di rado finalizzata all'apprendimento della lingua nazionale". Insomma, mentre Piantieri e altri guardavano al dialetto dall'alto della lingua nazionale, per arricchirla con nuove parole, Rohlfs parla con i contadini, e attraverso lo studio del dialetto, del loro modo di esprimersi, ne studia anche la storia, la cultura, i modi di vita.
Per quanto riguarda possibili nuovi studi sul dialetto cilentano, bisogna dire che il lavoro del Rohlfs resta un fondamentale punto di partenza per lo studio linguistico del Cilento, anche per la mole del materiale raccolto. Ricordiamo infatti che Rohlfs negli anni Trenta raccolse materiale dialettologico per l'Atlante Italo-Svizzero (Sprach und Sachatlas Italiens und der Südschweitz, Zofingen, 1928-1940) di KARL JABERG e JACOB JUD, in 8 volumi. Tale Atlante, in sigla AIS, è costituto da singole cartine dell'Italia, ciascuna avente per tema una o più parole o modi di dire; ogni cartina riporta, per ciascuna località indagata, come la parola viene pronunciata, in trascrizione fonetica. Le cartine sono raggruppate per soggetto: es. famiglia, ciclo vitale, corpo umano, casa, mangiare, bere, ecc. Per esempio, la carta AIS n. 366 è riferita alla voce piovere, e riporta come essa viene pronunciata nelle varie località. Dall'esame della cartina si evince che i tipi fondamentali della pronuncia sono cinque (piovere, plovere, chiovere, ciovere, provere). Le località cilentane riportate nell'AIS, e indagate dal Rohlfs, sono Omignano (punto AIS 740) e Teggiano, con la sua frazione Pantano (punto AIS 731); completa il quadro della provincia di Salerno, che ha avuto quindi solo tre punti di rilevazione, Acerno (col n. 724). Certamente un così ricco materiale (le cartine sono circa duemila) meriterebbe uno studio approfondito relativamente al nostro territorio, anche procedendo ad eventuali confronti con le regioni vicine e con la situazione attuale (la ricerca "sul campo", come ci ha insegnato lo stesso Rohlfs, è fondamentale).
Bisogna aggiungere che i collaboratori dell'AIS, per ogni persona intervistata, compilavano delle schede, con annotazioni diverse ma di solito relative al soggetto; Rohlfs invece riporta, dei soggetti, solo i dati essenziali, dilungandosi invece su informazioni di tipo etnografico e sulle caratteristiche del dialetto, evidenziandone i mutamenti nel tempo e nello spazio (es. villaggio - campagna - centri circostanti). Sarebbe interessante consultare le note del Rohlfs sugli informatori cilentani, pubblicate nel volume introduttivo all'AIS, insieme alle annotazioni relative a ciascuna inchiesta. Il volume introduttivo all'AIS è: K. Jaberg, J. Jud, Der Sprachatlas als Forschungsinstrument. Kritische Grundlegung und Einführung in den Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweitz, Halle, 1928.
a cura di Fernando La Greca
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