nota come Cala Grande, in Gallura
Viaggio nell’ultimo paradiso hippy in Sardegna nella Valle della Luna
Quello di oggi è un viaggio, ma è prima ancora un sogno, un po’ dimenticato e un po’ no, che mi è rigirato in testa per tutta una mattina e che, tra un flash e l’altro, riesco a ricomporre. E’ il viaggio di una notte trascorsa sotto le lenzuola del letto, nella mia mente gente libera, che vive e pensa in modo libero, in un luogo che non è un luogo, o che può essere qualunque luogo. Vi sono ampi spazi che si perdono all’orizzonte, tanti colori e su tutti il verde di una natura intatta. Qua e la gruppi di gente che giocano con una palla, con un cane, ridono e si rincorrono, altri seduti a terra che chiacchierano un po’ divertiti un po’ seri, altri ancora impegnati in un lavorìo manuale, che studiano, girano e rigirano pezzi di legno, di ferro, latta e sassi…E’ un sogno quello che cerco di ricomporre quella mattina, un sogno di qualche anno fa, concepito nel nuovo millennio, quello della globalizzazione, della massificazione, ma anche dell’indifferenza che, per alcuni versi, spaventa il Vaticano, il mondo dei preti. E’ un sogno, ma anche un po’ un ricordo, quello di trent’anni fa, quando ancora ragazzo andavo dove per mamma e papà “era meglio non andare” perché “il pericolo”, “la gente strana”, “le malattie” e a loro dicevo che la gente strana me la ritrovavo più facile tra i frequentatori di casa, i pericoli erano maggiori quando vagavo per città megaurbanizzate, le malattie le riscontravo in coloro che non sapevano bene ciò che volevano (e che ancora forse non lo sanno). Allora mamma mi diceva “si vabbè… con te è inutile parlare…”.
La mia prima volta…
Dicevo di un ricordo di trent’anni fa, di un viaggio in Sardegna, all’epoca ancora quasi del tutto a me sconosciuta, di un’escursione in Gallura, terra che aveva iniziato ad assumere una fisionomia “turistica”. Con uno zaino sulle spalle, pochi quattrini in tasca, tanta voglia di conoscere lì ero andato, solo, in Gallura, dove l’Aga Khan aveva comprato vent’anni prima qualcosa che dovrebbe essere inacquistabile, la costa, le spiagge, quasi quasi il mare… E lì sopra, su quella meraviglia, ci avrebbe poi costruito un “grande villaggio d’èlite”, la Costa Smeralda, un ritrovo per vip, per soli ricchi, un luogo che l’altra grande fascia di società avrebbe solo potuto guardare. Ebbene, io ero lì, con i miei non ancora diciottanni. Arrivavo dalla Corsica, un giro per l’isola francese, un po’ con mezzi pubblici un po’ in autostop, per imbarcarmi a Bonifacio e, attraverso le Bocche, sbarcare a Santa Teresa. Nella piazza centrale, molto diversa da com’è ora, alcuni giovani ed altri un po’ più attempati, che evidentemente non erano turisti della Costa Smeralda, cercavano di smerciare rustici ciondoli, braccialetti in corda, altri in rame o in ferro, poi oggetti in legno ed altre cose, alcune delle quali proprio bruttine. Li guardo, poche chiacchiere e stringo subito amicizia. Giunta tarda sera alcuni di loro mi chiedono di seguirli per andare là dove mi avevano raccontato di stare, nella Valle della Luna. Quella notte mi fermai lì con loro, con quel popolo di hippy, quei figli dei fiori che non avevano accettato quel sistema sociale che aveva portato al gusto del possesso, al piacere della proprietà, quasi a farne una dipendenza, fiutando per tempo dove questi “valori”, queste “necessità” ci avrebbero portati. C’era chi, al tempo, contro questo sistema combatteva con le armi, occupava licei ed università (e me li ricordo bene…), chi sequestrava ed uccideva, chi entrava in una logica stragista, senza aver capito per niente da chi erano manovrati. Ma tant’è. La Valle della Luna era il popolo del “peace and love”, di un sistema di comunità allargata, dove tutto era di tutti, il pane, il vino, la chitarra, la musica, che ai tempi era John Lennon, John Baez, Rino Gaetano e altri…
Quel sogno hippy
E quel sogno hippy, misto ricordo, mi ha lasciato, come direbbe una cara ragazza di un tempo, un po’ “perplesso”. Così mi sono chiesto dove erano finiti quei compagni di una notte, quegli amici della Valle della Luna. Ho così chiamato Adriana, la mia “guida” preferita di Gallura, dicendo che l’avrei raggiunta, perché volevo tornare nella valle. Parto con l’amico Patrik e raggiungo Santa Teresa. A cena con Adriana e Jack mi raccontano che si, loro là ci sono ancora. Come??? Dopo trent’anni la Valle della Luna è ancora patria dei figli dei fiori? E come no, vivono là, ancora in quelle grotte, attrezzati (?) come sempre, un po’ di coperte, sacchi a pelo, fornellino a gas, tutto come allora. E sono sempre variegati come un tempo, giovani e meno giovani, alcuni con famiglie benestanti a casa, ma anche insegnanti e professori, artigiani, artisti, professionisti, scrittori che hanno involontariamente fatto di questa valle uno dei luoghi più rinomati di tutta Europa. Jack mi racconta che non è raro trovare semplici volantini e stampe, anche scritti a mano e ciclostilati, che pubblicizzano, come fosse l’isola di Wight, la Valle della Luna, in bar e locali in giro per città come Berlino, Amsterdam, Copenaghen, Barcellona e tante altre… In un certo tipo di locali, ovvio, in un certo tipo di ambienti. La piacevole serata è salutata con un buon mirto, rigorosamente fatto in casa, ed un appuntamento per il giorno dopo, pronti per l’escursione dei trent’anni dopo. Ci sveglia una splendida giornata, un sole luminoso, un cielo azzurro, come in un disegno di un bimbo felice.
La Valle della Luna trent’anni dopo
Senza nascondere quel bel po’ di emozione che mi prende, mi avvio in compagnia di Adriana e Patrik verso Capo Testa. Attraversiamo l’istmo e rimiro le due grandi baie, a destra la spiaggia di Levante, sul lato opposto la Baia di Santa Reparata. Posiamo l’auto, zaino in spalla e lasciamo la striscia d’asfalto. Subito ho la sensazione che no, tutti quegli anni non sono passati, non possono essere passati. Mi pare tutto identico, come se ancora sul terreno vi fossero i segni del mio primo passaggio. Respiro quello stesso profumo, le essenze sono le stesse, il mirto, il lentisco, il ginepro, la salsapariglia. Le due grosse rocce spezzate a metà con precisione, con netto taglio, opera di epoca romana, come romane sono le cave di granito che pare sia stato utilizzato per importanti e famosi edifici come il Pantheon, nella città capitolina. Qui una sorgente naturale, detta “la funtana”, raccoglie ancora attorno a sé gli abitanti della valle per levarsi dal corpo la salsedine e la terra, per lavare i pochi indumenti, i teli, gli stracci. Questa gente non aveva accettato trent’anni fa le regole portate dalla società dei consumi, ed ancora oggi a queste regole non si è piegata. Vivono ancora qui, in queste grotte naturali che si aprono nelle rocce tondeggianti, levigate e modellate dalla millenaria pazienza dell’acqua e del vento, in anfratti poco accoglienti, ai quali si sono adattati, senza modificarli, rendendoli solo vivibili, per loro abitabili. Incontriamo lungo l’escursione due ragazzi stranieri, forse inglesi o irlandesi, che abitano la valle da oltre dodici anni, ci dicono prima di dare un bel sorso alla loro birra. Ci salutano e ricambiamo. Il percorso fin qui non è stato lungo, meno di un’ora, ma la “civiltà” pare molto lontana, siamo ora nell’era in cui gli uomini, per sentirsi al sicuro, avevano solo bisogno di un luogo riparato sotto al quale dormire e accendere un fuoco. Il popolo della luna qui può vivere senza la ritmata scansione del tempo, svestito di ogni orpello convenzionale, di ogni barriera che possa impedire il libero contatto con la terra. Non è affatto strano muoversi qui, tra uomini e donne, privi di ogni belletto formale e provare il desiderio di slacciare, senza malizia né pudore, anche l’ultimo dei bottoni, sfilare via triangoli di stoffa ormai superflui, inutili lembi di vergogna. Giungiamo laddove la valle termina in una bella spiaggetta, ed un altro gruppo di ragazzi ha attrezzato una grotta… bifamiliare, poiché sono in quattro ad abitarla. Qualche chiacchiera anche con loro, sono del continente, toscani, tra i venticinque e i trent’anni. Uno di loro ha piazzato una telecamera, fissa su di un cavalletto, che corre ad azionare per riprendere elicotteri dei carabinieri che ogni tanto vanno a straziare di rumore quell’angolo di paradiso. Gli altri non vi fanno quasi caso, alzano però gli occhi al cielo e fanno spallucce. Anche noi. Ritorniamo molto lentamente verso la striscia d’asfalto che abbiamo lasciato qualche ora fa, girandoci ogni tanto per salutarli. Loro tra poco avranno parecchi amici qui, in quanto, di questi tempi, in primavera, tanti ritornano alla loro grotta. Sono quelli che non vivono qua tutto l’anno, ma ci passano sette otto mesi, e si ritrovano come una grande compagnia, ritornando a dividere le giornate, il pane, il vino, il pesce pescato, la musica che ancora oggi è John Lennon, John Baez e Rino Gaetano…
Roberto Rossi
camping a Santa Teresa Gallura Camping La Liccia S.P. per Castelsardo Tel. +39.0789.755190 Fax +39.0789.755557 www.campinglaliccia.com
dove mangiare
Ristorante Bocche di Bonifacio Loc. Capo Testa Tel. +39.0789.754202
Ristorante S’Andira Loc. Santa Reparata Tel. +39.0789.754273
Ristorante Bistrot Il Chiostro Piazza del Tempo – Porto Turistico Tel. +39.0789.741056
Locali di ritrovo
Bar Caffè Conti P.zza Vittorio Emanuele
Bar Rena Bianca Loc. Rena Bianca
Estasi’s Disco & Free Jazz Cafè Loc. La Ruda Tel. +39.392.0541901 www.estasisdisco.it
Ufficio del turismo P.zza Vittorio Emanuele, 24 Tel. +39.0789.754127 Fax +39.0789.754185 www.comunesantateresagallura.it www.santateresa.ingallura.it
|