Palazzo Panciatichi

Palazzo Panciatichi

nobile casato di origine pistoiese

I Panciatichi erano un nobile casato di origine pistoiese. I lavori di ristrutturazione della nuova dimora iniziarono subito: nel 1622 il Panciatichi ebbe il permesso di costruire due terrazzini, uno sulla facciata di via Larga e uno su quella di via dei Calderai. Con la ristrutturazione delle case di via Larga il committente intendeva creare un edificio unitario, raccolto intorno a un cortile interno con loggiato. Il progetto fu però realizzato solo in parte, forse a causa dell’improvvisa morte di Bandino nel 1629, che lasciò erede il figlio Gualtieri di appena tre anni. Era stato però portato a compimento il grande portone, perfettamente allineato al prospiciente ingresso di palazzo Medici Riccardi. L’insieme crea un suggestivo 'cannocchiale prospettico' che attraverso i due palazzi consente di allungare lo sguardo da via Ginori a via Ricasoli. Nei decenni successivi la vita a palazzo Panciatichi scorse senza scossoni. Fu solo alla fine del 1600 che l’allora proprietario dell’immobile, monsignor Bandino Panciatichi, decise, da Roma dove risiedeva, di intraprendere un totale rifacimento del palazzo. Il compito di progettare i cambiamenti fu assolto da un architetto romano, Francesco Fontana. Il progetto del Fontana prevedeva una nuova ala, frutto della ristrutturazione di alcune casette in via dei Calderai, un cortile più ampio e la creazione di un loggiato a tre archi, un grande scalone. L’apertura del cantiere avvenne nel novembre del 1696. Gli interni furono completati nel 1697, e la decorazione dei soffitti e dei fregi parietali fu affidata a partire dal giugno 1698 a una squadra di pittori appositamente giunta da Roma. Oggi nulla rimane di quelle pitture. Il Fontana aveva anche previsto una piccola cappella al piano nobile. Nel 1703 iniziano i lavori alla nuova ala in via dei Calderai. Il cardinal Bandino nominò erede universale il nipote adottivo Niccolò di Iacopo Panciatichi, obbligando i suoi successori a mantenere integro il patrimonio ereditato, e ad abitare nel palazzo di via Larga. Così alla morte del prelato, avvenuta all’età di ottantanove anni nel 1718, Niccolò si trasferì a palazzo Panciatichi. Fu l’erede di Niccolò, Bandino, a rimettere mano al palazzo. Nel 1741 si diede inizio alla sistemazione di un nuovo appartamento destinato al signor 'cavaliere', che quasi sicuramente era Giovanni Gualberto Panciatichi, fratello minore di Bandino. Il quartiere, al secondo piano, fu decorato da un trio di pittori particolarmente in auge in quel periodo: Giovan Domenico Ferretti, Vincenzo Meucci e il quadraturista Pietro Anderlini. La saletta fu interamente affrescata sia sulle pareti sia sulla volta, divisa in tre riquadri che raffigurano l’Apoteosi di Ercole, oggi gravemente danneggiato, e gli integri Allegoria della poesia pastorale e Trionfo del Tempo sulla Maldicenza. Sempre in quegli anni vennero create due loggette coperte sulla sommità del palazzo. È attorno al 1750, invece, che viene realizzata la decorazione di un’altra saletta al secondo piano (oggi studio del vicepresidente), con una scena che allude all’apoteosi di alcuni membri della famiglia Panciatichi e numerose figure allegoriche. I dipinti della volta sono stati attribuiti a Niccolò Agostino Veracini, mentre le quadrature sono state attribuite a Vincenzo Torrigiani. L’erede di Bandino, Niccolò, fu anche collezionista d’arte e pittore dilettante. Ed è durante gli anni della sua proprietà, attorno al 1770, che venne affrescata al secondo piano del palazzo la grande sala oggi adibita a sala delle riunioni. La stanza fu decorata con episodi tratti dalla Gerusalemme liberata. Il non elevato livello delle pitture fanno ritenere agli esperti che l’autore debba essere stato lo stesso Niccolò Panciatichi, che appunto si dilettava con i pennelli. Sempre in quegli anni vennero create due loggette coperte sulla sommità del palazzo. È attorno al 1750, invece, che viene realizzata la decorazione di un’altra saletta al secondo piano (oggi studio del vicepresidente), con una scena che allude all’apoteosi di alcuni membri della famiglia Panciatichi e numerose figure allegoriche.

Negli anni il Consiglio Regionale ha acquisito alcuni dipinti concessi in deposito dalla Soprintendenza dei beni storici e artistici. Nelle stanze di anticamera del primo piano troviamo delle opere del primo Quattrocento: le sinopie di un affresco del tabernacolo di Sant’Andrea a Rovezzano, raffigurante una Madonna con bambino e santi, di Niccolò di Pietro Gerini; due sinopie con Profeti provenienti dalla Porta San Niccolò, opera della cerchia di Rossello di Iacopo Franchi.
Il deposito delle due antiche copie delle tele di Bartolomeo Manfredi, che ornavano le pareti dell’ufficio del Presidente, è risultato provvidenziale quando gli originali furono distrutti dall’attentato del 1993 che danneggiò la Galleria degli Uffizi: al loro posto ora sono collocate le due copie. Il Consiglio nell’occasione ha finanziato il restauro di due grandi tele seicentesche di artisti toscani, attalmente conservate presso lo stesso ufficio del Presidente: la Fuga di Clelia del pittore senese Francesco Rustici detto il Rustichino (1592-1626) e la Fuga di Enea da Troia del fiorentino Giovan Battista Marmi (1659-1686).

via Cavour
tel. 055 23871
ingresso: Visita a discrezione del Presidente
biglietto: Ingresso gratuito

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