domina la valle dell'Alento fino alla costa
Posto su una collina, in posizione baricentrica rispetto all'intero territorio comunale, dalla quale si domina con lo sguardo la valle dell'Alento fino alla costa. Questo borgo sorge intorno a un Castello, tra anguste stradine in pietra. Secondo la tradizione, dopo la caduta del castello della Bruca (i cui ruderi e la torre sono ancora visibili sull'acropoli dell'antica Velia), gli ultimi abitanti l'abbandonarono e, risalendo la piana verso l'interno in cerca di un rifugio più sicuro, posero la loro dimora nei pressi di una vecchia fortificazione normanna che da allora, accresciuta dal nuovo flusso, prese il nome di Castelnuovo. La collina sulla quale sorge il paese fu nel passato ricoperta da piccole celle ed eremitaggi di benedettini, di cui di tanto in tanto si trovano dei ruderi. Secondo l'Antonini, il costruttore del castello, che aveva un'importante posizione difensiva, fu il grande giustiziere del regno di Federico II Gisulfo di Mannia e risale all'anno mille. La struttura del castello, con l'arco abbassato e le pietre disposte a taglio e a filari, è una struttura normanna. Con la rivolta dei Baroni di Capaccio, alla quale partecipò anche Gisulfo di Mannia, conclusasi con una sanguinosa repressione, i beni dei Mannia vennero confiscati e Castelnuovo fu assegnato a Guido d'Alemagna, un cavaliere francese della corte di Carlo d'Angiò, morto nel 1297, che fece ricostruire il castello che era stato saccheggiato e danneggiato. Fece poi costruire fortilizi simili a quelli di Castelnuovo a Lucera e a Manfredonia in provincia di Foggia. Ci troviamo di fronte ad un'architettura militare di difesa e se osserviamo la torre, possiamo comprendere che doveva servire come ultimo baluardo difensivo quando le altre parti del castello fossero cadute in mano dei nemici ed è molto indicativo che l'ingresso della torre non è a pian terreno, ma è elevato. Il castello, scomparsa la casa d'Alemagna nel 1469, appartenne a diverse altre famiglie e solo nel 1724 alla famiglia dei marchesi Talamo-Atenolfi, che ne è ancora proprietario. La rivoluzione del 1799, le guerre napoleoniche non consentirono ai Talamo-Atenolfi una buona manutenzione del castello. Durante i tre terremoti che si ebbero tra il 1850 e il 1857 ci furono diversi crolli ed anche la torre venne gravemente danneggiata. Allora i Talamo-Atenolfi si trasferirono giù alla contrada Pantana, dove avevano un enorme caseggiato, che nel 1848, durante i moti cilentani, fu luogo d'incontro delle numerose colonne d'insorti e nel 1860 la torre di Castelnuovo fu definitivamente abbandonata e con le lesioni provocate dai precedenti terremoti divenne un rudere. Nel 1966 il marchese e ambasciatore Giuseppe Talamo-Atenolfi si diede da fare per salvare il castello dalla rovina definitiva e si fece promotore del restauro e così il castello ebbe la sua antica fisionomia. Secondo una leggenda, il castello di Castelnuovo era collegato con il castello di Velia e con altri castelli della zona attraverso dei cunicoli sotterranei. Alle pendici del colle un insediamento di tipo rurale, dove numerosi materiali quali attrezzi in ferro e grossi contenitori in terracotta per derrate alimentari suggeriscono lo sfruttamento agricolo del suolo; la presenza di numerosi pesi da telaio è indice della tessitura della lana mentre il toponimo moderno "Foresta" suggerisce un'attività di legnatico. Nel centro storico si vista il Castello del XIII sec., le sculture a mosaico di Guerino Galzerano, la villa dei marchesi Talamo - Antenolfi con annessi convento francescano e chiesa di S. Chiara (nella frazione Vallo Scalo).
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