esprime gioie e dolori
Il canto e le musiche hanno sempre rappresentato per il popolo lo strumento maggiormente consono al suo animo per esprimere gioie e dolori e per dare maggiore carica emotiva ad un rito o ad un'occasione.
Certo, si tratta sempre di manifestazioni inconsce, in quanto il popolo compone i suoi canti o apprende quelli dei padri come memoria del suo microcosmo e come naturale trasmissione dell'animus della sua identità.
Nel rimandare ad uno studio più approfondito che il CENTRO DI PROMOZIONE CULTURALE PER IL CILENTO va concretizzando sull'esperienza di circa quindici anni di ascolto e registrazione di musica popolare, voglio qui solo accennare ad alcune caratteristiche del canto popolare cilentano, pur nella coscienza che si tratta di concetti più vasti applicati ad un'area ben definita.
Quest'operazione è possibile in quanto la tradizione orale è di tale duttilità, che il processo di trasmissione avviene sempre in maniera libera e per lo più obbedisce a fattori contingenti e comunque non controllabili dalla volontà di chi canta o narra. Si tratta piuttosto di stati di emotività legati a certi momenti o luoghi che costituiscono la motivazione e l'occasione, non solo dei canti, ma anche della gestualità ad essi legata. Ad esempio i temi più noti dei canti popolari (amore, morte, religione, dolore, destino) sono comuni in aree limitrofe e culturalmente omogenee e vengono poi sviluppati di volta in volta dai cantori, che aggiungono o tolgono a seconda dell'occasione, creando a loro volta testi nuovi e originali, non per quanto riguarda il tema, ma per la situazione rituale del momento.
In passato i cantori, riuniti in occasioni di matrimoni, feste, conviti, si cimentavano in strofe, a chi ne sapesse improvvisare di più belle e toccanti, satiriche o pietose, osannanti o di disprezzo, ove il tema dell'amore era sempre il principale, ma spesso cedeva il posto a comiche battute nei confronti di personaggi o situazioni che costituivano la piccola cronaca del microcosmo paesano.
In questo caso è ancora più difficile individuare motivazioni più vaste dei fatti contingenti che determinarono la composizione di un certo tipo di strofe, di battute o di versi; la raccolta dei testi dei canti popolari diventa così ancora più complessa, data la quantità di varianti che uno stesso componimento ha subito a seconda del luogo o del cantore.
Diciamo dunque che i testi dei canti popolari, mai definiti in passato in quanto erano parte viva e integrale della vita quotidiana, oggi possiamo raccoglierli nell'ultima versione proposta dagli ultimi cantori ed esaminarli non dal punto di vista letterario, ma emotivo e rituale.
Il canto popolare, laddove ancora si pratica, ha così acquistato una sua forma quasi definita, appunto perché son venute a mancare la fantasia e la versatilità dei cantori del passato e i testi ne vengono accettati passivamente, curando anche di obbedire a certe regole; come, ad esempio, ricordare il verso ascoltato dal nonno o riprodurre le giuste assonanze rivendicando un tipo di motivo proprio di una località, che si distingue da quello delle aree limitrofe e che in alcuni casi differisce da paese a paese.
Il canto popolare, dunque, è la rappresentazione di un mondo interiore che si esplica emotivamente soprattutto nel giorno di una determinata festività religiosa o nell'occasione di una festa collettiva; per cui la gestualità che lo accompagna e che ne deriva, è l'espressione esteriore di un mondo magico interiore, che si esplica con tensione drammatica nel rituale legato ad un tempo e ad un luogo specifico.
Va sfatata l'idea del canto popolare come "canto semplice" e che tutti possono apprendere ed eseguire. Si può notare, infatti, nelle poche occasioni rituali nelle quali ancora si usa, che i nomi di coloro che col canto meglio interpretano l'animo popolare, sono unanimamente conosciuti e riconosciuti da tutta la comunità.
Per tutte queste motivazioni, il canto popolare rappresenta l'espressione del momento e acquista perciò il carattere e la dignità di linguaggio di una cultura.
Va dunque superata la tendenza o comunque la preoccupazione a ridurre ad ogni costo le strofe, la metrica e la musica a schemi fissi, ingabbiando così la libertà espressiva di questo linguaggio che per la sua natura costituisce l'espressione di vari stati d'animo di situazioni collettive.
Per comodità di indagine, possiamo proporre una schematizzazione, soggettiva, dei vari tipi di componimenti tramite i quali il canto popolare cilentano si esplica, pur nella coscienza che schematizzare significa racchiuderlo in categorie ben precise e quindi togliergli la vitalità che gli è propria, tradendo la sua natura di linguaggio culturale.
Diciamo anzitutto che per lo più ogni argomento è legato ad un particolare schema metrico, anch'esso a sua volta passibile di variazioni a seconda della vena poetica del cantore; si possono tuttavia individuare tre schemi fondamentali:
1) Canti a strofe, formati in genere da quattro distici endecasillabi a rima alternata, dove il secondo verso del secondo e del quarto distico fungono da replica (ripresa). Di solito il testo è in dialetto, anche se non mancano testi in un italiano aulico-popolare. Il contenuto abbraccia ogni aspetto della vita sociale, ma viene classificato in soli tre temi: amore, sdegno, lontananza, cui è collegata l'esperienza culturale dei cantori. In costoro, infatti, la tematica specificamente sociale e politica non sembra essere presente; essa ci appare di origine dotta e non corrispondente alla cultura popolare, anche se spesso il popolo ne ha appreso e tramandato i testi. Non mancano brani a carattere didascalico o ironico, di dissacrazione dei valori, sulla sorte, di verismo marcato, sulla morte.
Questo componimento, dal punto di vista della struttura metrica, è la base del tipico canto alla cilentana, la cui esecuzione è polivocale, a tempo di pastorale, con una voce alta ed una o più basse, che accordano su quella principale al secondo emistichio del primo verso, seguendo poi con lo stesso tono fino alla ripresa. Un solo fiato regge il canto di ciascun verso, l'emissione è a voce lacerata e su quella principale interviene la melodia dei bassi, che ad un certo punto non scandiscono più le parole ma fanno da sottofondo melodico con melismi. L'esecuzione può essere anche monodica e accompagnata dal suono dell'organetto, che oggi è subentrato ai vecchi strumenti ormai dimenticati, la chitarra battente e il fruschariéddo (zufolo).
Il testo dei canti d'amore è di solito così strutturato: nei primi due distici si descrive una situazione o si introduce un paragone o si fa riferimento alla bellezza e incanto della natura, per poi riportare il tutto alla situazione amorosa, che può essere di elogio per la bellezza della donna amata, di dolore per non essere corrisposto o a conclusione ironica. Il tutto per dare forza ai due concetti fondamentali espressi nel secondo e nel quarto distico, che costituiscono la ripresa.
2) Canti monostrofici, che racchiudono in una sola strofa di pochi versi a metrica libera, un sentimento, un omaggio, un'arguzia, una satira. Il ritmo è libero e in genere si adatta a motivi inventati al momento.
3) Canti a schema libero, di varia ampiezza, divisi o no in strofe, con un numero di versi non definito, a volte conclusi da una replica. In questi canti il tipico schema musicale "alla cilentana" assume moltissime variazioni, fino a scomparire del tutto in quelli che vengono da aree limitrofe o a fondersi col motivo originale. Anche in questi casi la tradizione musicale popolare mostra la sua duttilità, acquisendo un carattere proprio che è peculiare del luogo e dei cantori che tramandano il canto. La melodia o le nenie che ne derivano sono particolarmente suggestive.
Per quanto riguarda gli argomenti, i canti cilentani ripropongono i temi comuni alla tradizione popolare dell'Italia meridionale: da quelli d'amore - i più numerosi - (serenate, lontananza, passione, disprezzo) a quelli politici e sociali; da quelli legati al ciclo della vita umana (ninna-nanne, strofette per divertire i bambini, imenei, lamenti funebri) a quelli sul destino.
Particolare menzione va fatta per i canti carnescialeschi, epici e religiosi.
La brevità di questa nota non ci permette di addentrarci in un tema così vasto, la cui tracce, benché ormai labili, pur sono rimaste nella memoria popolare cilentana. Diciamo solo che i primi due gruppi risentono molto di temi di importazione e ripropongono quelli noti in gran parte di tutta l'Italia meridionale.
La stessa cosa dicasi per quelli religiosi, tra i quali vanno segnalati per la loro peculiarità quelli delle Confraternite, che costituiscono attualmente l'unico repertorio di canto popolare cilentano ampiamente praticato. In essi il tema musicale risulta arcaico nella sua struttura e composizione e può considerarsi una variante "dotta" di quello tipico detto "alla cilentana".
Interessanti sono anche le cosiddette novene in onore dei santi protettori o preparatorie delle principali festività. Sono certamente di origine dotta, con testo in italiano aulico e di composizione per lo più posteriore al XVII secolo. Sono cantate sul motivo di pastorale e strutturate su strofe di quattro versi settenari o ottonari, con ritornello, che sostituisce la replica tradizionale. Nelle novene, appunto perché di composizione più recente, si nota già una maggiore apertura verso aree culturali più vaste ed una maggiore aderenza a schemi musicali e poetici guidati dalla liturgia. Il canto andrebbe eseguito senza il suono dell'organo per la presenza del sottofondo melodico dei bassi; ma nell'un caso e nell'altro le melodie risultano sempre molto suggestive. Purtroppo va denunciata la tendenza messa in atto da alcuni parroci a ridurre a pochi minuti l'esecuzione delle novene o addirittura ad eliminarle. Ciò, mentre da una parte non corrisponde di certo alle moderne direttive canoniche, resta tuttavia un abuso di cattivo gusto e di offesa alla pietà popolare.
I canti venivano accompagnati, un tempo, da rudimentali strumenti musicali, che non davano il motivo, bensì servivano solo per segnarne il ritmo e accennare la melodia di base.
Nel 1814, Vincenzo Gatti, di Laureana, così scriveva: "Non si conoscono altri strumenti che la zampogna, la ciaramella, il fischietto, la chitarra battente, il pandolino, il violino, e il tamburo. Gli abitanti sono molto dediti all'andare cantando di notte, per cui accadono dei continui sconcerti. La cantilena è nel suono della pastorale. La danza è la tarantella".
Erano, questi, tutti strumenti costruiti in loco. Il fischietto o zufolo (fruschariéddo), lungo circa quindici centimetri, era ricavato da un pezzo di canna, su cui venivano praticati quattro fori, di cui uno per l'emissione del suono e tre per la modulazione; la chitarra battente era più piccola della chitarra cosiddetta "francese", con solo quattro corde che, "pizzicate" con decisione, davano il ritmo al canto. Noti erano i liutai di Casigliano, che poi vendevano i loro prodotti nelle fiere locali. Con l'emigrazione in America di uno degli ultimi artigiani nel 1951 e con la morte dell'ultimo anziano fabbricante di chitarre nel 1975, si è estinta anche questa bella tradizione artigianale. Il pandolino era una specie di mandolino napoletano, ma con la cassa più piatta e dalla forma rotonda.
Oltre alla zampogna e ciaramella, ancora usate nei paesi dell'interno, gli altri strumenti ormai sono scomparsi, lasciando il posto all'organetto, di importazione calabro-lucana, suonato dagli ultimi cantori che ancora riescono a modulare le note dell'antico canto alla cilentana; rarissimi i suonatori di chitarra battente e di zufolo, quest'ultimo usato nell'ultima tradizione solo durante i riti di Natale.
Questi strumenti venivano suonati insieme, in una specie di concertino, detto li suoni, solo in alcune occasioni, tali un matrimonio o una festa di piazza. Nelle serenate era in uso il violino accompagnato dal pandolino o dalla chitarra battente; lo zufolo ed il tamburo segnavano il ritmo e le melodie nelle cantilene della trebbiatura; mentre la zampogna, e le ciaramelle, e oggi l'organetto o fisarmonica, accompagnano i canti del pellegrinaggio al Sacro Monte.
a cura di Amedeo La Greca
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