per comprendere le difficili storie della popolazione locale
Risiera di San Sabba è il nome con cui è comunemente noto l’unico campo di concentramento in Italia, a Trieste. È l'unico campo di sterminio della seconda guerra mondiale costriuto all'interno di una città.
Premessa storica Nel lasso di tempo che seguì l’armistizio dell’8 settembre 1943 sulla regione della Venezia Giulia e dell’Istria si venne a creare una situazione di forte instabilità e di anarchia. La mancanza di controllo del governo portò alla rivolta del gruppo etnico croato in Istria e alla prima ‘’fase’’ della strage delle foibe. In questo clima l’intera area nord-orientale d’Italia (province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana) viene annessa alla Germania nazista con il nome di Zona di operazione dell’Adriatisches Küstenland (Litorale Adriatico) sotto il controllo dell’Alto Commissario austriaco Friedrich Rainer, notoriamente anti-italiano, che giustificava la separazione dallo Stato italiano di queste terre per la “volontà” e “diversità razziale” degli abitanti.
La risiera Il complesso di edifici dello stabilimento per la pilatura del riso fu costruito nel 1913 nel rione alla periferia di Trieste di San Sabba fu trasformato in un campo di prigionia provvisorio per i militari italiani catturati dopo l'8 settembre 1943, denominato Stalag 339.
Successivamente, al termine dell’ottobre 1943, diviene un Polizeihaftlager (Campo di detenzione di polizia), utilizzato per smistare i deportati in Germania e in Polonia e al deposito degli oggetti sequestrati; nel campo venivano anche detenuti ed eliminati sloveni, croati, partigiani, detenuti politici ed ebrei.
Per i cittadini incarcerati nella Risiera intervenne in molti casi presso le autorità germaniche il vescovo di Trieste, mons. Santin, in alcuni casi con una soluzione positiva (liberazione di Giani Stuparich e famiglia), ma in altri senza successo.
I nazisti dopo aver utilizzato per le esecuzioni i più svariati metodi, utilizzarono all’inizio del 1944 l’essiccatoio della risiera, prima di trasformarlo definitivamente in un forno crematorio. Questa costruzione venne sperimentata il 4 aprile 1944, con la cremazione di una settantina di cadaveri di ostaggi fucilati il giorno prima in località Villa Opicina (Trieste). Il forno crematorio e la connessa ciminiera furono abbattuti con esplosivi dai nazisti in fuga, nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, nel tentativo di eliminare le prove dei loro crimini. Tra le rovine furono ritrovate ossa e ceneri umane.
Riguardo le ipotesi sui metodi di esecuzione si parla di gassazione in automezzi appositamente attrezzati, colpo di mazza alla nuca o fucilazione. Nel complesso si parla di un numero oscillante attorno le 5000 vittime.
Il museo e gli edifici Nel campo erano presenti diversi edifici che oggi non esistono in seguito alla trasformazione in campo profughi per gli esuli giuliano-dalmati nel 1945 e alla seguente ristrutturazione e trasformazione in monumento nazionale.
Sono visibili:
La “cella della morte” dove venivano rinchiusi i prigionieri portati dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati ad essere uccisi e cremati nel giro di poche ore.
Le 17 celle in ciascuna delle quali venivano ristretti fino a sei prigionieri: tali celle erano riservate particolarmente agli sloveni e croati, ai partigiani, ai politici, agli ebrei, destinati all'esecuzione a distanza di giorni o di alcune settimane. Le due prime celle venivano usate per la tortura e la di raccolta di materiale prelevato ai prigionieri: vi sono stati scoperti, fra l'altro, migliaia di documenti d'identità, sequestrati non solo ai detenuti e ai deportati, ma anche alle persone inviate al lavoro coatto.
L’ edificio seguente di quattro piani, dove venivano rinchiusi, in ampie camerate, gli ebrei e i prigionieri civili e militari destinati per lo più alla deportazione in Germania: uomini e donne di tutte le età e bambini anche di pochi mesi. Da qui finivano a Dachau, Auschwitz, Mauthausen, verso un tragico destino che solo pochi hanno potuto evitare.
Nell’edificio centrale, usato come caserma, con i resti del forno crematorio si trova l’interessante Museo.
La Risiera di San Sabba è un luogo dà visitare, assieme alla Foiba di Basovizza, per comprendere le difficili storie di cui è stato protagonista il confine orientale e le sue genti.
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