Villaggi rupestri di culto
La condizione essenziale per lo sviluppo degli insediamenti rupestri a Monopoli era strettamente collegata all’efficienza della rete viaria, che univa borghi e casali. I villaggi rupestri, generalmente ampliamenti di cavità naturali, storicamente sviluppatisi tra il IX e XVI sec., erano del tipo “a parete”, legati alla conformazione geologica di un territorio molto friabile per l’abbondante presenza di tufo calcarenitico. Questo fenomeno, di concentrare piccoli insediamenti intorno a un luogo di culto, si diffuse moltissimo nel territorio, soprattutto ad opera di contadini liberi che, spesso committenti di personali cappelle, finivano per dedicarsi al monachesimo. Ma questi luoghi non furono mai considerati monasteri per evitare che i Vescovi locali si impadronissero delle circostanti terre. E infatti nel X secolo le lamentele del popolo spinsero Basilio II ad emettere una legge che vietava la denominazione di Monastero per queste strutture. All’interno queste cripte si presentano molto semplici; sono state denominate “basiliane” in quanto dal sec. VIII, a causa delle lotte iconoclaste, molti monaci dell’ordine di S. Basilio, il cui culto era ancora vivo nel sec. XII, giunsero in tutta la Puglia, continuando a professare il loro culto e rivelandoci esempi di arte figurativa devozionale, insieme ad altari, capitelli e iconostasi di inequivocabile influsso orientale. (Francesco Pepe, Monopoli città unica Guida Turistica e Culturale, Zaccaria Edizioni, Monopoli 1996)
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