nel territorio di Battipaglia risale al VI secolo a.C.
Nei pressi della riva sinistra del Sele, nel 1934, si rinvennero i resti di un santuario arcaico dedicato ad Hera Argiva, moglie-sorella di Zeus e regina di tutti gli dei. Di quest’area sacra, la cui edificazione incomincia agli inizi del VI sec. a.C. ad opera di un gruppo di Sibariti (Achei che avevano fondato, un secolo prima, Sibari), non rimangono che le fondazioni dei cinque edifici: un grande tempio, un piccolo edificio rettangolare cosiddetto “thesauros” (luogo dove si conservavano le offerte votive), due altari a podio per il sacrificio di animali durante i riti sacri ed, infine, un edificio quadrato detto “delle vergini tessitrici”. Nel corso degli scavi, sono venute alla luce oltre settanta metope scolpite che costituiscono uno dei cicli lapidei più complessi dell’Occidente antico. Di tali decorazioni circa quaranta sono più antiche (databili intorno alla seconda metà del VI sec. a.C.), scolpite nell’arenaria locale e realizzate con linea di contorno. Esse raccontano le vicende di Eracle, Achille, Giasone, Ulisse, Oreste. Di nessuna di esse si può assicurare con certezza documentaria l’appartenenza ad un particolare edificio del santuario. Le altre metope, stilisticamente diverse, sono realizzate quasi “a tutto tondo” e raffigurano giovani donne in atto di danzare. Dagli scavi condotti nell’area sacra dedicata ad Hera sono tornate alla luce un’infinità di doni votivi, soprattutto statuette in terracotta, che, se non potevano essere contenuti nel “thesauros” perché troppi, erano raccolti e sepolti in fosse (stipi) o conservati in celle sotterranee (favisse). Nel 1936, nei pressi del grande tempio, si rinvenne un deposito votivo composto da cinque loculi costruiti con lastroni quadrangolari. I doni erano sistemati all’interno di essi ed erano coperti da lastroni. Anche il terreno circostante era ricco di offerte votive accompagnate da tracce di bruciato, elemento che fa pensare a sacrifici offerti al momento della deposizione degli ex voto. Il materiale rinvenuto si data tra la fine del VI e gli inizi del II sec. a.C. Nel 1934, invece fu scavata una enorme discarica votiva in cui si individuarono circa seimila oggetti: statuette fittili raffiguranti piccole teste, busti femminili, figure offerenti femminili, frutta, fiori, colombi, eroti, tipologie di donne-fiore (donne che recano un fiore sulla testa); pochi vasi e piccoli oggetti in bronzo. Il materiale risale tra il IV e il II sec. a.C., ma monete di età romana fanno presupporre che la fossa sia stata in uso fino al II sec. d.C. Il santuario greco di Hera fu utilizzato anche dai Lucani prima e dai Romani successivamente. Nel V sec. a.C. i Lucani si insediarono a Poseidonia e, nel luogo del santuario di Hera, alle spalle degli altari, costruirono un edificio quadrato dove fanciulle aristocratiche trascorrevano il tempo di preparazione alle nozze tessendo il peplo da donare alla Dea. Qui sono stati rinvenuti oggetti tipicamente femminili: piccoli gioielli in oro e corallo, vasetti portaunguenti, forme vascolari tipicamente nuziali ed una statua di Hera, l’unica in marmo, seduta in trono con melograno in una mano ed una patéra per le offerte nell’altra. Questa statua ha costituito il modello per le migliaia di statuette fittili prodotte nel V sec .a.C. a Paestum. Il culto di Hera continua con l’avvento dei Romani, nel 273 a.C., e con il cristianesimo la devozione si trasforma. Infatti sul colle Calpazio (collina che sovrasta Capaccio) compare il culto della Madonna del Granato che riprende l’iconografia della Dea Hera in trono con il melograno; questa immagine sacra è, ancora oggi, venerata.
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