con il Museo della civiltà contadina
Quest’ultimo appuntamento con la Val Perino esce da un piacevole incontro che ho avuto nel mese cdi novembre 2006 con l’autrice del volume “Ricordi e ricette della mia famiglia”. Lei si chiama Annamaria Torre, discendente dai Torre da Chiavari, ceppo che ha origini, come si evince dal libro, nel 1130. Mi chiama un giorno e chiede di parlami di una certa storia che la lega alla Val Perino. Di una certa casa e di un borgo. Di un luogo che costituisce buona parte dei suoi ricordi, della sua infanzia, della sua adolescenza. Una storia che prosegue ancora oggi, perché quella casa continua ad essere per lei un punto di riferimento importante. Dalla sua abitazione di Piacenza dove vive, il tragitto che conduce in Val Perino e a quella casa è regolarmente coperto con grande frequenza, il richiamo di quei luoghi di gioventù ha spesso il sopravvento. Mi accoglie in soggiorno offrendomi un caffè, che baratto con un orzo. Ed inizia a parlarmi dei sentimenti che nutre per quel piccolo lembo di terra, che fa da ponte tra la Val Trebbia e la Val Nure, tra Perino e Bettola. Spazia nel suo racconto tra storia e attualità, tra le memorie di ieri e i progetti di oggi. Si, perché Annamaria (mi permetto questa confidenzialità), in omaggio a questa sua terra natìa, ha realizzato una chicca, un piccolo gioiello, una preziosità. Così aderisco all’invito che mi propone e la raggiungo nel week end a Villa Sorìa. Così si chiama questa sua casa (oggi in dote alla figlia Maria Elena) che nasce all’interno di un piccolo borgo. Con il solito piacere che mi accompagna quando mi dirigo verso mete che amo, raggiungo la Val Perino un soleggiato sabato di novembre. Annamaria è già la, alla casa, e l’impatto è con un gradevole borgo, sapientemente recuperato nel rispetto delle sue originali caratteristiche rurali. L’ambiente non è merito di Annamaria, è la meraviglia che è, ma tutto il resto è quanto voluto da questa tenace ed appassionata signora. Poteva rimanere nell’abbandono come tante, troppe bellezze del nostro territorio, dimenticate ed inevitabilmente piegate dal tempo e dall’incuria. Borgo Sorìa invece no. Questa piccolo pezzo di storia è stato salvato e restituito alla comunità per essere fruito, per essere goduto. E sono tante, racconta Annamaria, le funzioni che Borgo Sorìa può svolgere. Dapprima già solo il fatto di prestarsi ad una semplice visita, potendone apprezzare la particolarità del complesso, respirandone i suoi antichi ricordi che sembrano svelarsi lungo il percorso. Ma nel senso più pratico la struttura è ambiente ideale per ospitare personali di artisti, mostre di pittura e di scultura, rappresentazioni di carattere culturale, legate all’arte, ma anche all’ambiente, alle tradizioni del nostro territorio. Non solo; Borgo Sorìa personalmente lo vedo molto bene anche per iniziative rivolte alle scuole, dove bambini e ragazzi possono avvicinarsi alla cultura e alla vita rurale dei nostri nonni, in un ideale connubio didattico ricreativo, occasioni spesso sottovalutate dalle amministrazioni scolastiche. E allora, a questa mia considerazione, Annamaria riprende: “dovresti vedere – mi dice – come si divertono questi ragazzi che vengono qua… gli racconto un po di cose, di aneddoti, di curiosità, e magari gli dimostro come si faceva il pane, con l’uso di questo vecchio forno – che mi indica – per poi farlo saggiare loro… e che buono!!!, mi dicono…” Ma Annamaria non si ferma li. Più di una volta ha preparato ai convenuti, piatti e specialità locali, secondo le più rigide regole delle antiche ricette. “E’ una mia passione – incalza – e lo faccio per il solo piacere di fare star bene la gente che viene qui, perché possa tornare a casa con un buon ricordo di questi posti, della giornata trascorsa qui… mica per altri motivi!…” Annamaria è un vulcano di idee, dinamica, attiva, con un unico obiettivo: far conoscere la Val Perino e farla apprezzare da tutti coloro che amano questi luoghi di contemplazione, di pace, di serenità. Questi luoghi dove puoi ritrovare il giusto ritmo, quello in sintonia con il proprio organismo, quello che a volte ti raccontano puoi trovare con pratiche indiane o di origine tribale. Quelle che a volte costano un sacco di quattrini, che svolgi all’interno di quattro mura, con un istruttore che ti dice quando respirare e quando trattenere il fiato… Con tutto il rispetto, cose anche efficaci, in alcuni casi. Efficaci sempre sono tuttavia le passeggiate a contatto con la natura, escursioni accompagnate dal cinguettio degli uccellini e dallo scrosciare dell’acqua, dal fruscìo delle foglie mosse dal vento. Torniamo a Borgo Sorìa, dove tutto questo è quotidianità, bello da vivere in tutta la sua varietà. Qui la storia, le tradizioni, i racconti si mescolano alla magia di un luogo fiabesco; si amalgamano alla bellezza di un territorio straordinario, dove la natura mostra tutta la sua prorompente forza, grazie al rispetto che l’uomo ha saputo qui usare, in una integrazione perfetta, riscontrabile, purtroppo, sempre più raramente.
La visita al Museo della Civiltà Contadina Questo che è esattamente quel che si definisce “museo diffuso”, rappresenta un ideale itinerario dentro le tradizioni della valle, un tempo prettamente legate all’agricoltura. Un certosino lavoro di ricerca, di recupero e di catalogazione dei numerosissimi attrezzi ed oggetti esposti, quello effettuato da Annamaria, che è riuscita negli anni, grazie anche alla collaborazione di amici sensibili ed amanti di questi luoghi, ad allestire un’esposizione capace di raccontare la vita rurale di un tempo, il lavoro, le abitudini, la quotidianità. Inizio la visita con la stalla, restaurata in modo conservativo con i pavimenti della mangiatoia (travisa) costituito dai tipici sassi rotondi (bucè) incastrati in una terra speciale, e con le dieci finestre che contribuiscono a rendere una luce particolarmente suggestiva all’ambiente. Solcata la porta d’ingresso in legno, noto da un lato una vecchia scala in ferro usata un tempo per salire e scendere dal fienile, mentre dall’altro lato scorgo una seminatrice usata per seminare frumento, orzo, avena e segala. All’interno, lungo il percorso, un’estirpatrice, un’erpice a catena ed uno rigido, tre aratri di diverso tipo, uno cosiddetto “bettole”, uno a chiodoni di ferro, un ultimo “a pertica”. Poi di seguito un grosso stampo di legno, la cassa (o cassone) per la biancheria, il fornello in ghisa (fuglar), lo sgranatoio per il granoturco, la mola ad acqua, la bicicletta dell’arrotino (mulita), il giogo, la sega, la luce (lum), la lanterna, due antichissime ruote di legno con raggi, il tostino, il bidone del latte, l’asse di legno usato per la “pistà ad grass” con relativi mestoli e, infine, il carretto del semenzaio. Quest’ultimo, prezioso alleato dei contadini che usavano per andare al mercato ad acquistare sementi per l’orto, fa anche da espositore di una quantità di vecchi chiodi in ferro di varie misure, pinze, tenaglie e tant’altro. Sopra la stalla visito il fienile, di cui una parte era adibita a pollaio. Ed è immediata la consapevolezza di come questo ambiente possa prestarsi alle mostre che Annamaria organizza e di come possano integrarsi perfettamente e valorizzarsi le opere esposte. Proseguo la visita del museo indirizzandomi verso l’aia, un’area di terreno sodo, contigua ai fabbricati rurali, destinata ad accogliere i prodotti da essiccare o da trebbiare. Qui scorgo una grande carriola di ferro con due ruote e due stanghe “pesantissima”, mi dice Annamaria, magari memore della fatica impiegata a muoverla e a posizionarla, capovolgibile, usata per la costruzione di strade e ponti. Poi noto la gavazza (navesa), quel recipiente dove si effettuava la pigiatura dell’uva con i piedi. Mi giro e mi volto ed ovunque vedo cose… il torchio, tini e botti, damigiane ed imbuti, filtri, barili, cassette di legno, cesti, cestini e cestoni in vimini. E poi una grossa pompa, solforatori, irroratrici… Lascio l’aia per entrare nel vinaio, detto anche barcaccia, con due portoni ben conservati, tanto grandi per poter consentire l’ingresso ai carri carichi di cassette di uva. Uno di questi carri pare non sia mai uscito da qui dentro, un carro con timone, ora adibito a tavolo. Su un lato una vecchia credenza con profondi cassetti sui quali poggiano attrezzi del forno per la cottura del pane. Esco nel portico antistante dove è stata collocato il grande carro agricolo. Maestoso, imponente, con quattro ruote a dieci raggi, con davanzale decorato, un tempo trainato da buoi o cavalli, veniva usato per il trasporto di covoni di fieno. La visita termina alla secolare vite che da trecento anni accompagna le sorti di questi luoghi, di questo borgo, nel cuore della Val Perino. Un cuore che pulsa vivo, sano e che accoglie nell’incanto della sua serenità, della sua quiete.
da La Cronaca Roberto Rossi
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