la più radicata alle origini e alle proprie tradizioni
La più orientale delle tre valli che convergono sul bacino dell'Entella, quella del Graveglia era forse, fino ad alcuni decenni or sono la meno conosciuta, almeno al di fuori dell'ambito locale. Coinvolta solo marginalmente nello sviluppo industriale ed economico che ha reso famosa la Fontanabuona anche oltre i confini regionali, priva di monumenti storici ed artistici di rilevanza nazionale, al contrario della vicina Valle Sturla che può vantare il complesso monumentale di Borzone, e lontana anche in passato dal circuito di comunicazioni di maggior rilevanza con il Piacentino e il Parmense, la Val Graveglia fino ad alcuni anni fa era conosciuta soltanto da qualche abitante della riviera quale piacevole mèta di villeggiatura estiva. Se si eccettua la monografia scritta negli anni Trenta da un cultore di storia locale, il sacerdote L.B. Tiscornia, che pur con i suoi innegabili limiti ed inesattezze contribuì a divulgare al di fuori del ristretto ambito locale vicende storiche e tradizioni della valle, si dovettero attendere gli anni Sessanta perchè iniziasse per merito di alcuni studiosi e appassionati una riscoperta del patrimonio storico, artistico e culturale di questo territorio, il cui isolamento ne ha favorito la conservazione di alcuni caratteri peculiari che la identificano. Accanto al grande studioso belga H. Plomteux, docente all'Università di Lovanio famoso per i suoi studi sul dialetto e sulla civiltà contadina della Val Graveglia, si devono pure ricordare altre figure meno note al grande pubblico, fra le quali l'architetto Yvon Palazzolo, chiavarese di adozione, appassionato scopritore del patrimonio storico-artistico e naturale dell'entroterra la cui opera continua per mezzo del Gruppo Ricerche Civiltà Ligure da egli stesso fondato e diretto per lunghi anni. A lui e al prof. T. Mannoni si deve fra l'altro la segnalazione di numerosi siti archeologici alcuni dei quali, risalenti all'età romana, sono attualmente in fase di studio da parte della Sovrintendenza ai Beni Archeologici con la collaborazione della Sezione "Tigullia dell'Istituto di Studi Liguri". Accanto alle sue bellezze naturali questo territorio può vantare una particolare ricchezza e varietà delle risorse del sottosuolo che ne fanno, assieme alle vicine valli di Libiola e di Bargone nel Sestrese, una delle zone più interessanti e più famose della Liguria dal punto di vista geologico, mèta di numerosi studiosi provenienti talvolta anche dall'estero. E' significativo quindi che a queste risorse siano legate le prime testimonianze, sebbene indirette, della presenza dell'uomo sul suo territorio. La scheggia di diaspro rosso, rinvenuta alcuni anni or sono nella Grotta delle Fate presso Finale Ligure e usata forse come arma o attrezzo da qualche ignoto abitatore del Paleolitico Inferiore, proviene dalla Val Graveglia al pari di altri reperti dello stesso materiale venuti alla luce nelle Grotte dei Balzi Rossi e del Finalese e attribuibili al Paleolitico Medio e Superiore. Fin dalla preistoria esisteva dunque un utilizzo, sebbene ancora a livello embrionale, delle risorse minerarie della valle, che alimentava una corrente di scambi, di vasto respiro per quell'epoca, estesa anche a Ponente ligure. Del resto i primi reperti archeologici relativi a questi due ultimi periodi venuti alla luce nella Liguria orientale furono rinvenuti nella zona montana compresa fra la Val Graveglia e il Sestrese, mentre più a nord, all'estremità settentrionale della valle, presso il Passo della Camilla e il cosiddetto Nido del Merlo, al confine con la Val Sturla, sono stati ritrovati numerosi strumenti in selce di diaspro risalenti al Mesolitico Antico. Il popolamento di questo settore, come del resto di tutto l'Appennino Ligure è quindi molto antico, (basti ricordare i numerosi insediamenti di altura risalenti all'età preromana e noti con il nome di castellari) e, sebbene numerosi siano ancora gli aspetti da approfondire anche in questo campo, un ottimo punto di riferimento per chi desideri avere un quadro completo sulla Preistoria nell'entroterra chiavarese è costituito dal Museo Archeologico per la Preistoria e la Protostoria nel Tigullio che ha sede a Chiavari. Se queste scoperte hanno gettato alcuni sprazzi di luce sui periodi più remoti della Preistoria, ancora oscure appaiono invece le vicende dei secoli immediatamente precedenti e successivi alla conquista romana, per i quali mancano, come del resto per l'Alto Medioevo, ricognizioni archeoliche sistematiche. Lo scavo di alcuni siti di età romana segnalati da tempo nell'entroterra del Tigullio (Statale in Alta Val Graveglia, Porciletto di Mezzanego e Semovigo nella vicina valle Sturla, quest'ultimo purtroppo non ancora esplorato) ha offerto indicazioni preziose e ha dimostrato che la colonizzazione non si limitò alla sola fascia costiera, come si riteneva in passato, ma si rivolse anche all'entroterra. La costruzione venuta alla luce nei pressi di Statale, in Alta Val Graveglia, è probabilmente una casa colonica della tarda età imperiale (II-V sec. d.C.) sorta forse nelle vicinanze di una via di comunicazione naturale usata per gli scambi con l'alta Val di Vara e il Piacentino. I numerosi reperti finora ritrovati sembrano essere tuttavia di gran lunga inferiori a quelli restituiti dalla costruzione rinvenuta nello scavo di Porciletto di Val di Sturla. Con la creazione dei distretti militari-amministrativi di Lavagna e di Sestri anche il territorio del Tigullio venne organizzato dai secondo criteri difensivi dei quali probabilmente è rimasta traccia in numerose dedicazioni tipiche del mondo militare dell'epoca. E' in questo periodo infatti che i missionari al seguito delle milizie imperiali, anche per facilitare il controllo del territorio, intraprendono l'opera di conversione delle popolazioni rurali praticamente ancora pagane e minacciate dall'infiltrazione dei Longobardi ariani. A quest'epoca risalgono probabilmente le origini di numerosi luoghi di culto sparsi nella valle: a cominciare dalla chiesa, poi Monastero di Graveglia, situata alla confluenza del torrente omonimo con il Lavagna, la cui dedicazione ai santi Eufemiano, Giustiniano ed Elio, secondo alcuni sarebbe da ricondurre alla presenza di un centro difensivo bizantino, mentre secondo altri alla precoce conquista longobarda di questo settore e per altri ancora, all'influsso missionario del Monastero di Bobbio. Dedicazioni risalenti a questo periodo potrebbero essere pure quelle della Chiesa di S. Apollinare di Reppia e delle cappelle, oggi scomparse, dei SS. Antonino, Biagio e Vincenzo situate a Pontori, Montedonico e Osti, nella valle laterale del torrente Garibaldo. La conquista longobarda accrebbe ulteriormente l'importanza dell'entroterra ligure dal punto di vista strategico e la sua unione al regno longobardo pose le premesse per la ripresa degli scambi fra la costa e il retroterra padano, che costituì sempre l'indispensabile presupposto per lo sviluppo economico della regione. Lungo il percorso delle strade più importanti si stanziarono così numerosi presidi di guerrieri longobardi (arimanni) con lo scopo di sventare ogni tentativo di incursione bizantina. Alla fitta presenza germanica in Val Graveglia sono riconducibili anche le diverse dedicazioni di chiese all'Arcangelo Michele, santo nazionale di quel popolo o ad altri santi tipici delle missioni cattoliche del tempo, nonchè diversi toponimi, a cominciare dal nome stesso del torrente Garibaldo, che passò ad indicare tutta quanta la valle anche dal punto di vista amministrativo fino oltre il XVIII secolo. La presenza di tracce di questo genere nelle vicinanze di Graveglia, fa supporre che questa zona fosse sede in età longobarda, come lo era stata forse già in epoca bizantina, dell'autorità militare e civile di tutto il Tigullio. Alla lenta ripresa dell'economia, allora esclusivamente agricola, contribuì notevolmente l'azione missionaria e civilizzatrice dei monaci di S. Colombano di Bobbio, portatori di nuove tecniche colturali e iniziatori di una nuova colonizzazione del territorio montano del Tigullio che si consolida nel corso dell'età Carolingia. Le carte bobbiesi parlano di possedimenti nella zona di Graveglia, ove a partire dal 1076 l'abbazia possiede la chiesa ed il monastero di S. Eufemiano, ma anche a Reppia, Osti e forse a Pontori, nella valle di Garibaldo. Alla fine del X secolo, quando la potenza bobbiese in questa zona è all'apice, cominciano a distinguersi le prime famiglie signorili che lentamente si sostituiscono all'autorità pubblica nell'esercizio del potere, secondo uno schema di accentuato particolarismo. Esse fondano il loro potere sulla detenzione, come affittuari o concessionari, di terre, decime ed altri beni del Monastero di Bobbio o della chiesa genovese, nonchè sul controllo della viabilità. I Conti di Lavagna, che assumeranno tale titolo nel XII secolo, donano a Bobbio, nel 1076, la chiesa e il monastero di Graveglia probabilmente da essi fondato; nei secoli successivi sono detentori di numerosi beni anche lungo tutto il corso della valle fra i quali ricordiamo il castello di Zerli, edificato nel XII secolo e distrutto nel secolo successivo. Di esso sono visibili gli avanzi di un torrione a pianta quadrata e le tracce dei muri perimetrali. Con i Conti di Lavagna erano probabilmente imparentati i signori di Nascio, paese ove sorgeva un altro dei due castelli attestati nella valle, distrutto e del quale purtroppo non è rimasta traccia. Sebbene il fenomeno dell'incastellamento in questo settore sia ancora in fase di studio, e non sia possibile esprimere valutazioni definitive, possiamo affermare che dei numerosi ruderi sparsi per la valle e considerati castelli medievali risalenti all'età feudale o addirittura al periodo delle incursioni saracene o delle invasioni barbariche la maggior parte sia costituita da costruzioni in realtà più modeste (torri o case-torri spesso fortificate) risalenti ai sec. XVI-XVII, la cui edificazione è forse da collegare alle contese fra famiglie appartenenti a diverse fazioni. Con l'espansione genovese nel Levante, concretizzatasi con la costruzione del castello e del borgo di Chiavari, sul finire del XII secolo, la valle, finora ed allora dipendente da Lavagna e da Sestri, cominciò lentamente a gravitare nell'orbita chiavarese e il suo territorio fu suddiviso fra il capitaneao di Chiavari e la Podesteria di Sestri, i cui confini ricalcavano in quest'ambito quelli delle antiche pievi di Lavagna e di Sestri. Sul territorio di queste ultime, a partire dal XII-XIII sec. Si assiste al fiorire di numerose chiese e cappelle parecchie delle quali acquistano la dignità di parrocchia. E' sempre in questo periodo vengono fondate o ricostruite molte delle chiese della valle attestate quasi tutte già nel corso del Duecento, sebbene pochissime conservino tracce visibili di quel periodo dopo l'ampliamento seisettecentesco. Degni di nota sono i ruderi del coro in stile romanico della Cappella di S. Michele di Osti, sulla sponda sinistra della Valle di Garibaldo; della Cappella di S. Reparata Vecchia, e ancora l'abside della piccola Chiesa Parrocchiale di Sambuceto che, esternamente non intonacata, presenta una muratura costituita da grossi cinci regolari in pietra a monofora centrale. A partire dal Basso Medioevo cominciano ad affermarsi alcune delle famiglie egemoni che nei secoli successivi, sino alla fine dell'Antico Regime ed oltre, si contenderanno il potere nella valle; fra di esse si distingue, per antichità ed importanza, quella dei Garibaldi, che trae origine dalla valle omonima. Nel periodo tra il Basso Medioevo e il XVI-XVII sec., continua e si intensifica la colonizzazione del territorio con l'impianto di colture specializzate (olivo nella bassa e media valle, castagno nell'alta e nei siti di altura), per meglio rispondendere al fabbisogno del costante aumento della popolazione e della richiesta o del mercato locale che aveva nei centri costieri i suoi principali empori per il commercio dei prodotti provenienti dall'entroterra: cereali, castagne, vini e lana. Accanto ai prodotti agricoli è attestato che a partire dalla seconda metà del XVI secolo lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo nella zona di Statale-Nascio ( miniere di ferro e di rame) determina un consistente sviluppo demografico: a Statale nel 1536 sono censiti, secondo il Giustiniani 80 fuochi (che dovrebbero corrispondere all'incirca a 4-500 persone) nella vicina Cassagna 25 e a Nascio 30. In questi stessi secoli si afferma, in campo edilizio, la costruzione di residenza fortificate con le cosidette case-torri, le quali, possedimenti delle più importanti famiglie dell'egemonia locale, si trasformeranno in palazzi architettonicamente decorati e simili alle più prestigiose residenza cittadine. Di tali edificazioni resta solo qualche raro rudere presso Prato di Reppia, nelle vicinanze della strada provinciale, ove rimane una torre risalente al XVI, e nelle frazioni di Botasi, Cassagna, Zerli, Sambuceto, Caminata, Pontori ed infine in località Castello nella frazione di Campo di Ne . Il periodo successivo al Concilio di Trento vide anche la riorganizzazione del territorio dal punto di vista religioso; agli inizi del XVII secolo l'Arcivescovo di Genova, alla cui diocesi apparteneva quasi tutta la valle ad eccezione di alcune parrocchie della parte settentrionale, operò alcuni interventi di urbanistica sacra che si concretizzarono con la soppressione e l'accorpamento di numerose parrocchie. Per alcune cappelle medievali che sorgevano nei centri di altura, ormai prive di sacerdoti e di redditi, arrivò l'ordine di distruzione, e al loro posto furono edificate nuove chiese parrocchiali; in altri casi si verificò l'unione più o meno temporanea di parrocchie che riacquistarono in seguito l'autonomia perduta (Reppia-Arzeno, Statale-Nascio, Sambuceto-Loto). Il secondo effetto della riorganizzazione pastorale nelle campagne è rappresentato dalla particolare attenzione accordata all'edilizia sacra, che si protrae con un crescendo di intensità e modalità diverse fino a tutto il Settecento e in alcuni casi fino al secolo scorso, conferendo, soprattutto agli interni delle chiese della valle, la caratteristica impronta del Barocchetto genovese e del Rococò comune. Fra queste ricordiamo la Parrocchiale di S.Maria di Ne, che conserva, un trittico raffigurante la Madonna col Bambino e Santi, opera di Teramo Piaggio (metà sec.XVI), quella di Pontori, riedificata alla metà del XVIII sec. a pianta ottagonale nella quale si può invece ammirare unAdorazione dei Magi attribuita al Bascaino (pittore genovese attivo verso la metà del sec.XVII) e la chiesa di S.Martino di Caminata il cui altar maggiore, intarsiato di finissimi marmi policromi proviene, dalla ex chiesa di S.Francesco dei Costaguta di Chiavari. Un altro dipinto su tavola della fine del Cinquecento, opera di ignoto artista locale allievo di Agostino Piaggio è conservato nella parrocchiale di Reppia, dichiarata monumento nazionale, a Conscenti, nella piccola Cappella di S.Lorenzo, si può ammirare un affresco cinquecentesco raffigurante la Crocifissione, opera anch'esso di artista locale, e tornata alla luce di recente nel corso di un restauro. Un cenno a parte meritano le chiese di Nascio, a croce greca, sorta probabilmente alla fine del Cinquecento nelle vicinanze dell'antico castello, e la chiesa di S. Eufemiano di Graveglia, riedificata nella seconda metà del secolo scorso sull'area di un'antica chiesa monastica e successivamente distrutta per far posto alla nuova costruzione. Accanto ai numerosi edifici religiosi e alle dimore delle famiglie egemoni, si devono pure ricordare i pochi esempi superstiti di architettura rurale, che raggiungono i vertici nel centro storico di Statale e nel piccolo nucleo di Cassagna.. Il primo, caratterizzato da antiche case con murature in pietra a vista, portici, cavalcavia e strette viuzze, assume l'aspetto di un borgo medievale, sebbene le costruzioni risalgano ad epoche successive. Il piccolo villaggio di Cassana, quasi perfettamente conservato, rappresenta il simbolo dello spopolamento delle valli dell'entroterra, essendo ormai quasi disabitato al pari di tanti piccoli nuclei di altura della valle e di tutto l'entroterra. Da esso parte un antico sentiero che porta al caratteristico e ormai famoso ponte in pietra di Nascio, edificato alla metà del Settecento a spese della nobile famiglia famiglia genovese dei Cambiaso che frequentava questi luoghi per la villeggiatura. In seguito alla Rivoluzione Francese e all'Istituzione della Repubblica Ligure la maggior parte del territorio della valle entrò a far parte del nuovo comune di Ne. Alla sua estremità settentrionale, le frazioni di Arzeno e Nascio dovranno attendere la fine del secolo per essere staccate dal comune di Casarza e riunite a quello di Ne; la vicina Statale addirittura il secondo dopoguerra, mentre nella parte più in basso le frazioni di Gravegna e di Monticelli, appartengono ancor oggi ai comuni di Carasco e di Cogorno. Ma è verso la metà del secolo scorso che si verificano gli avvenimenti destinati a ripercuotersi con maggior incisività sulla vita della valle. Se la scoperta e lo sfruttamento su più vasta scala delle risorse minerarie contribuiscono alla prima valorizzazione delle potenzialità economiche della valle, l'apertura delle vie transoceaniche consente ai suoi abitanti, come del resto a quelli di tutto l'Appennino Ligure, di convertire l'antico flusso migratorio, spesso stagionale, verso la Lombardia e altre regioni dell'Europa centrale, in una massiccia corrente intercontinentale destinata a protrarsi con intensità fino al secondo dopoguerra. Con il prezioso contributo delle rimesse degli emigranti, si intraprese la costruzione della maggior parte degli edifici pubblici presenti in valle, si arricchiscono di ulteriori decorazioni e arredi le chiese parrocchiali, e si avviò la realizzazione di una prima rete di strade carrettabili. Tutto ciò rappresentò per la valle, il primo passa verso l'uscita dal suo secolare isolamento, che tutt'ora in fase di realizzazione permette, che le sue numerose sfaccettature territoriali e bellezze naturali divengano meta d'interesse turistico per gli amanti dell'arte della cultura.
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