Portasalza a Potenza

Portasalza a Potenza

prende il nome dall'antico casale

Il toponimo deriva dall'antico nome del casale, costruito a margine dell'abitato e da questo separato dal fossato e dallomonima porta. Non si può dar fede alla rappresentazione iconografica che Cassiano da Silva o Pacichelli danno della città di Potenza per individuare e rappresentare l'antica porta cittadina, che fino alla sua demolizione ha significato l'unico ingresso carrabile controllato all'urbanizzato. La forma architettonica dell'ingresso non è documentata neppure dalla descrizione dell'entrata in città di don Alfonso de Guevara, 24.6.1578, che il cancelliere dell'Università annota nel Verbale, conservato nel Registro relativo al triennio 1578-1580, in cui si legge che "l'Illustrissimo Possessore Conte sopra lo ponte di detta Porta, il quale fu fatto per la Città tutto di taffità di vari e diversi colori". Questo conferma soltanto che il ponte levatoio ed il fossato costituivano l'unica struttura di accesso, imboccandosi direttamente la via più centrale dell'abitato. Sull'importanza della porta e sull'esatta ubicazione della stessa non vi sono incertezze dopo la lettura della "relazione Marchi", che porta alla compilazione della "prima" toponomastica ufficiale di Potenza: "più non esiste quella (porta) di Portasalza, che pure era la principale per l'accesso alla Città, preceduta da un fossato ed avente il ponte levatoio, dappoichè venne abbattuta, per disposizione del decurionato cittadino del 2.10.1817, stante l'ingrandimento della Città disposto con altra precedente decisione dello stesso decurionato del 16.1.1816. Così il borgo o rione di Portasalza, sorto al di fuori della porta, venne aggregato alla Città. La detta porta cittadina esisteva per lo appunto al principio della Strada Pretoria, e propriamente nell'attuale crocevia costituito dalle due vie laterali presso cui finisce la salita di Portasalza". Si argomenta che all'inizio del secolo scorso il complesso edilizio nel quale è inserita la "porta" mostra i segni di una avanzata vetustà, per cui diventa necessario l'adozione del provvedimento di demolizione del 18.8.1818: "dopo aver rilevato che le 5 casette le quali sostengono la così detta Portasalza hanno le soffitte e i muri all'intutto diruti e cadenti... ma soprattutto la casetta di detto Pomponio nonchè la stessa Portasalza necessariamente devono essere demolite per evitare il pericolo... decide di doversi abbattere con somma urgenza tali immobili e quindi ricostruirsi". I lavori sono affidati agli appaltatori G. Lanzara e L. Conforti e consistono nell'abbattimento "degli antichi muri sfrabbricati delle case che attaccavano con Porta si Alza per essersi in quel sito allargata la strada". Vengono abbattuti gli "antichi pilastri di Porta Salza"; la casa di Giovanni Pomponio, posta sull'arco della Porta non può essere ricostruita, mentre quelle di Rocco Masi, Silvestro Brienza e Rocco Manta saranno parzialmente riedificate; tali lavori terminano il 30.12.1818. La prioprietà delle nuove case, nel giro di pochi decenni, cambia spesso: alla metà dell'800, sul lato destro di via Pretoria i proprietari sono Arcangela Marsico, Pasquale Cortese, Saverio Ricotti e Francesco Manta; sul lato sinistro gli eredi di Vincenzo Scolletta, Vito Di Tolla e Rocco Masi. Qualche anno più tardi saranno costruiti 2 soli palazzi: a destra la proprietà Angrisani-Petruccelli, a sinistra la proprietà Tufaroli, poi Morlino. L'esistenza del casale, ipotizzata per la Potentia romana, è accertata in pieno medioevo: la presenza della cappella di San Giacomo è documentata sin dal 1206, anteriore a quella di Santa Lucia; questa, pur rappresentando una datazione certa, non può essere considerato il limite temporale più antico per datare l'insediamento antropico del sito. La mancanza di documentazione certa per alcuni secoli della storia potentina non fa dimenticare che l'esistenza di queste cappelle, quasi rurali al margine dell'abitato, è la manifestazione dell'esigenza pastorale della chiesa di San Michele, che governa buona parte della vita cittadina, tant'è, che, quando la struttura ecclesiastica ha annotato i suoi rapporti col il mondo contadino circostante, l'archivio ha restituito gli atti sui quali è stato possibile documentare la presenza antropica e lo sviluppo di questa parte della città. Intorno a queste strutture religiose si insediarono, sin dal medioevo, casupole e stalle di contadini, botteghe di artigiani e taverne e fondaci di mercanti forestieri, che scelsero questo sito per la posizioni geo-morfologica, per l'esposizione a mezzogiorno e per la vicinanza alla "porta dell'abitato", ove rifugiarsi in caso di pericolo. Della presenza antropica e della provenienza degli abitanti, all'inizio del XVI secolo, si ha conferma dall'elenco nominativo dei parrocchiani di San Michele residenti nel casale: francisco de cola viczarro. stiephano de diana, giurgia schavon, bernardino de livera, rado de radoboy, joanni rayana, lo fratello de tomasj, radogna de m.a, thomasi de rifrano, amarillo de refrano. In un altro documento, della metà del secolo si legge che il casale risulta diviso per "contrata": Sante Jacobj, sopto lo Puczangaro, lo manchoso. In questo documento mentre i terreni della Chiesa di San Michele sono divisi per contrade, le case e le botteghe di questa stessa proprietà, nel totale di 37, sono elencate insieme con quelle ubicate entro le mura. Da altri documenti è possibile individuare l'ubicazione di alcune costruzioni del casale ed enucleare le caratteristiche edilizie del costruito: franco di miliza tene una spatolaria nella strata de lo Lago et confina co S. Jacobo et lo monozare et l'horto di Jobat. Ferrera; paulo de vietro tene una casa tutta di ligname dreto Santa Lucia verso ponente; lucio de tricarico tene una vingna entro ortto justa la Tribuna di Sancto Jacobo; Jo. Tomashi Circiello tien un horto co la casa dentro detto horto allo Laco cò sue fini dove Sancta Lucia; Jo. Maria capilongo tien un horto cò la spatolaria justa la porta salza; Jo. Bat. Ferrera tene un'horto di ditta Chiesa juxta lo monnizzaro de la porta Salza... confinato co li carbonari; johabatta brixsciano tene una casa justa lo lavinaro. Nel 1569 si legge che il Capitolo tiene alcune case "vacue", tutte di "ligname", vicino a Santa Lucia: pitrillo de pitrillo justa la sopra ditta puro de lingnama. All'inizio del XVIII secolo si verifica un certo incremento demografico e quindi nuovi insediamenti abitativi nel casale, denominato, ormai, "borgo", regolarmente annotati nei registri di contabilità del Capitolo di San Michele, che elenca accuratamente le operazioni finanziarie, - censi, mutui, prestiti ai parrocchiani e ad altri cittadini -, per la costruzione di nuove case nel borgo: Luigi Brancaccio, nel 1721, chiede in prestito ducati 15 per costruirsi una "casa fuor Santa Lucia" ; qualche anno dopo Filippo Barbella e sorelle hanno "una casa di fabbrica nuova" e, nel 1733, Biase Brancaccio, Giuseppe Mangino e Domenico Di Bello, chiedono un prestito per le loro case "da finire"; nello stesso anno Francesco Antonio Laronzana ha una casa "di fabbrica nuova" e, così pure, Michelangelo Santarsiero nel 1759. I terreni, che, nei primi anni del secolo, Pietro Riviezzo e Giacomo Antonio Mancino tenevano infitto come orti e vigne, alla fine del secolo divengono i suoli per siti di case, nel luogo detto lo Lago avanti Santa Lucia e nello stesso anno Girolamo la Borragine costruisce una nuova casa incorporata alla taverna del signor Cortese. Già nel 1780 il Capitolo aveva avviato la cessione di suoli edificatori, "seu luoghi di case", come per esempio, a Giuseppe Santarsiero, a Gerardo Bilancia con Teresa Seferino, a Donato Riviello e Francesco Abruzzo, agli eredi di Petito Pergola. All'inizio del secolo scorso il borgo è quasi interamente edificato. Lo sviluppo della città, reso urgente e pressante dalla scelta di Potenza "novella capitale" della provincia di Basilicata, non si realizza con l'ampliamento del borgo, malgrado che per molti decenni si siano presi di mira i terreni demaniali di Montereale, ovvero nonostante, sin dal 1844, fosse stata decisa la costruzione di un sobborgo sul suolo del vicino demanio detto il Monte che il comune avrebbe fornito gratuitamente. Questa idea viene riproposta, ancor prima del terremoto del 1857, quando alcuni cittadini chiedono di acquistare terreni con la dispensa dalle subaste e la espressa condizione di edificarsi un casamento di non meno tre piani da compiere nel termine improrogabile di anni cinque, al lato destro della strada Montereale. Il catasto urbano provvisorio, sezione Domiciliaria, presenta il borgo diviso in otto vicoli innestati sulla strada Portasalza. Seppure non è agevole disegnare i contorni precisi di questa parte dell'abitato fuori delle mure, le indicazioni catastali consentono di individuare la consistenza immobiliare e l'ubicazione topografica dei diversi fabbricati. Nelle partite 2165-2189 sono censite le proprietà a mano sinistra dalla porta fino alla taverna di Cortese, consitenti in 13 case, 3 sottani, 1 stalla e 5 botteghe con l'ultimo fabbricato, la più grande taverna della città, che comprende 11 membri. La taverna è gestita da Luca Cortese, sposato a Celestina Canfora, con i fratelli Paolo e Ferdinando, sposato a Luigia Ricotta. Nelle partite 2190-2215 sono censite le proprietà, idem da basso verso sopra a mano sinistra, che iniziano con la fornace di Nicola Di Lorenzo, la taverna di Luigi Prisco, la cappella di Santa Lucia e consistenti in 10 case, 4 sottani, 1 stalla e 6 botteghe. I proprietari che posseggono la maggior consistenza immobiliare su questa strada sono don Nicola Addone, Michelangelo Cavallo, Gerardo Carbonara, Michelangelo Martorano e il Convento delle Monache di San Luca.

da www.comune.potenza.it

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