Caselle in Pittari - la storia

Caselle in Pittari - la storia

abitato già in età preistorica

Siamo a Caselle in Pittari paese sorgente nel Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano a 460 m. sul livello del mare.
Le indagini archeologiche compiute negli ultimi decenni documentano che il territorio fu abitato sin dall'età preistorica; infatti nella Grotta di San Michele si è rinvenuta ceramica appartenente all'orizzonte preistorico.
Altre rinvenimenti, riferiti all'età del Bronzo Finale (1150 - 900 a.C.), si sono rinvenuti in località Laurelli.
Reperti, databili all'età del Ferro (fine VII sec. a.C.), sono stati rinvenuti sul Colle Serra.
Nel V secolo a.C. i Lucani, provenienti dalle aree interne, si insediano in località Laurelli luogo in cui impiantano un abitato prolifico sino al III secolo a.C. epoca in cui il territorio fu conquistato dai Romani.
A seguito della caduta dell'Impero romano Caselle è ricordato dalle fonti per la pratica del culto dell'Arcangelo Michele, diffusosi nel territorio nel VII secolo con l'arrivo dei monaci bizantini, sul monte San Michele.
Agli inizi dell'XI secolo il principe longobardo di Salerno, Guaimaro III, fondò sul Monte San Michele o Pittari l'Abbazia di Sant'Angelo i cui resti sono tuttora visibili al di sotto del complesso criptologico.
Nel 1067 Caselle è menzionata nella Lettera Pastorale con la quale l'Arcivescovo di Salerno Alfano I annunciava al clero la nomina a vescovo dell'abate di Cava, Pietro Pappacarbone, nella ricostituita Diocesi di Policastro.
Nel 1137 Caselle è menzionata nel "Catalogus Baronum" come "territorio" dipendente dal Cenobio e dalla chiesa di Santa Maria di Grottaferrata di Rofrano. Sempre nello stesso elenco, nel 1154, Caselle è registrata come possedimento di Gisulfo di Padula.
In epoca angioina, in particolare negli anni della guerra del Vespro (1282 - 1302) combattuta dagli Angioini di Napoli e gli Aragonesi di Sicilia, Caselle dovette costituire uno dei castri (fortezza) della seconda linea difensiva interna come sembrano testimoniare i resti del maschio a forma di torre cilindrica.
Nel 1299 Carlo II lo Zoppo assegna Caselle al Principato Citeriore e divenne in seguito, nella prima metà del XIV secolo a.C., possedimento della famiglia Sanseverino (il primo feudatario fu Almerico Sanseverino a cui successe il figlio Tommaso).
Nel 1386 il re di Napoli affidò Caselle a Guarello Orilia poiché i Sanseverino gli si erano schierati contro nella lotta con Luigi II D'Angiò.
Nel 1442, con l'inizio della dominazione aragonese (1442 - 1504) nel Regno di Napoli, Caelle fu affidata ad Almerico, figlio di Tommaso Sanseverino, a cui successe il figlio Guglielmo che nel 1485 prese parte alla Congiura dei Baroni contro Ferrante D'Aragona. Le truppe aragonesi ebbero la meglio e Guglielmo fu privato di tutti i suoi feudi per aver partecipato alla Congiura: Alfonso II nominò governatore il milite Valerio De Gizzis di Chieti.
Nel 1496 Guglielmo, per volere di Ferdinando II, fu reintegrato in tuti i suoi beni e Caselle ritornò in possesso dei Sanseverino (Roberto II rilevò nel 1506 la terra di Caselle a cui successe, nel 1510, Ferrante).
All'inizio del XVI secolo la dominazione spagnola sostituì quella aragonese. Caselle, dopo anni difficili caratterizzati dalle scorrerie dei pirati saraceni e turchi, si ingrandì e offrì condizioni favorevoli di vita sino agli ultimi decenni del XVI secolo. Nel 1570 Pietro De Stefano acquistò Caselle per la somma di 11.500 ducati. Il dominio dei De Stefano si protrasse sino al 1674 anno in cui Pietro, ultimo della nobile famiglia napoletana, fu costretto a vendere il feudo al giudice Angelo Cristiani a causa dei debiti che aveva assunto e che non riuscì a pagare: i nobili furono costretti a contrarre debiti a causa delle carestie, dell'eccessivo carico fiscale e delle epidemie che ridussero le entrate.
Nel 1683 il feudo fu ereditato dal figlio di Angelo Cristiani, Didaco a cui successe il figlio Angelo Maria. Quest'ultimo mantenne il feudo sino al 13 giugno 1764, giorno in cui divenne feudataria del marchesato la figlia Chiara. Il feudo passò ai Mazzarotta che dominarono sino all'eversione delle leggi feudali (1806).

  a cura di di Alberto Giudice


L'Occupazione francese

Nel 1806, l'Italia meridionale, dopo il fallimento della terza coalizione antinapoleonica, tornò ad essere assoggettata alla potenza francese e fu governata da Giuseppe Bonaparte fino al 1808, quando gli successe Gioacchino Murat. Giuseppe Bonaparte, già nel primo biennio di reggenza, promosse numerose riforme; soppresse i diritti feudali; con la legge del 2 agosto 1806 ordinò che tutti i feudi venissero divisi in due diverse categorie: allodiali e demaniali; i primi di legittima appartenenza agli ex feudatari e i secondi di proprietà del comune che li avrebbe successivamente distribuiti ai contadini poveri, in cambio di un riscatto da pagare ai baroni. A dividere i terreni in allodiali e demaniali furono chiamati i commissari ripartitori, il cui compito si dimostrò subito alquanto ostico, dal momento che , come scrive R. Marino, "Era pressocchè impossibile stabilire con esattezza quali fossero e a chi appartenessero i terreni demaniali, dal momento che i baroni, malgrado le proteste dei Comuni, avevano da sempre esatto terraggi e canoni su tutti, o quasi tutti, i terreni, compresi quelli appartenenti a privati cittadini. E l'esenzione del terraggio costituiva un attestato di possesso". Il commissario che si occupò della ridistribuzione dei terreni a Caselle fu Paolo Giampaolo. Questi, con un'ordinanza del 6 febbraio 1811, stabilì che a Caselle esistevano tre demani ex-feudali (Bosco, Mituoio, Ficarola), uno ecclesiastico (Sant'Angelo in Pittari) e diversi demani comunali (Zappari, Serra, Piano di Nico, Limitoni e Acquaviva); con la stessa ordinanza riconosceva ai cittadini usi civici di prima classe (pascere, acquare, legnare a secco) sui demani ex feudali e di seconda classe ( ai diritti della prima classe si univa anche quello di poter accogliere frutta dagli alberi) su quello ecclesiastico; inoltre Giampaolo privava l'ex marchese di terraggiare sul colto del demanio ecclesiastico e riconosceva alla popolazione i diritti domenicali sull'incolto. Gli usi civici che il popolo perdeva per la privatizzazione dei demani feudali vennero da Giampaolo compensati riconoscendo ai cittadini un terzo del valore capitale sui demani ex feudali, un mezzo sul colto, tre quarti sull'incolto del terreno ecclesiastico e un terzo sul particolare; destinava, infine, il colto delle suddette quote di compensazione e quello dei demani comunali alle quantizzazioni tra cittadini bisognosi. I terreni comunali vennero offerti a 50 cittadini che, pagando già la fondiaria sui terreni ecclesiastici, non poterono permettersi le spese per il loro canone e quindi rifiutarono. Le terre a questo punto vennero proposte ai maggiori possidenti, i quali rifiutarono a loro volta. A causa di questo diniego più di 300 tomoli di colto non furono quantizzati. Il sindaco e il Decurionato, ritenuti responsabili di non essere riusciti ad aggiudicare le quote, vennero investiti dell'obbligo "in ogni anno a pagare de proprio in beneficio della cassa comunale non solamente l'importo de'canoni, ma anche la fida risultata dal valore de' demani.... alla ragione del 5%". Sfumò così per i cittadini la possibilità di un riscatto sociale, la situazione restò immutata: i contadini continuarono ad aver bisogno di pascoli e terreni che trovarono o dissodando la boscaglia o lavorando per i galantuomini a cui pagavano i terraggi; i possidenti seguitarono nel loro parassitismo e, sfruttando e mortificando ogni rivendicazione di giustizia che si liberava dal popolo, continuarono, con il beneplacito della Chiesa, ad esercitare il proprio controllo sulla povera gente.
Negli anni dell'occupazione francese anche l'istituto municipale fu profondamente trasformato: venne creato il Decurionato composto dal sindaco e 9 amministratori, eletti su base censitaria che duravano in carica un anno. Dalla democrazia eletta, conquistata con il parlamento, si passò ad una democrazia rappresentativa che accentrava il potere nelle mani di pochi borghesi istruiti e facoltosi. L'atto più significativo del Decurionato fu sicuramente lo Stato Discusso (bilancio comunale) diviso in entrate e uscite, che a loro volta si suddividevano in titoli e sottotitoli.
Nel 1808 salì al trono Giacchino Murat che, riuscendo almeno in parte a svincolarsi dall'egida napoleonica, riuscì a farsi accettare ed apprezzare dai napoletani per la sua carismatica personalità. Anche Murat introdusse numerose riforme, tutte volte a migliorare le condizioni economiche e sociali del ceto contadino. I suoi provvedimenti furono molto più incisivi rispetto a quelle del precedente governo; ciò è dimostrato dal fatto che i feudatari si trovarono ad affrontare la prima vera crisi finanziaria che non solo fece vacillare la loro stabilità economica, ma mise in discussione anche il potere che esercitavano ormai da troppo tempo sulle masse contadine.
Il tentativo Murattiano di riscattare il Mezzogiorno fu vanificato dalle endemiche crisi economiche e finanziare che, ieri come oggi, attraversavano il Meridione. Il timido sviluppo del mezzogiorno non riusciva e reggere il passo con l'avanzata economia del resto d'Europa. A subire maggiormente gli effetti di tale situazione di crisi furono soprattutto i piccoli centri come Caselle, che abbandonati a sé stessi erano preda del despota "gentiluomo"di turno, che mangiava, beveva e sollazzava sui sudori degli afflitti. A Caselle, ad un anno dalla caduta di Murat, in una comunità di 1770 abitanti, gli introiti ammontavano a 726 ducati. L'anno successivo scesero ad appena 543,5 ducati. Gli introiti, formati per la maggior parte dai terraggi che i contadini pagavano, venivano puntualmente destinati ad inutili spese e poco, ovviamente, restava per sopperire ai reali bisogni della popolazione. Alla già grave condizione economica dei cittadini si unirono carestie e d epidemie che dagli animali si diffusero agli abitanti. Una tale crisi determinò drammatiche conseguenze: circa 400 persone morirono per fame e malattie.

  a cura di Maria Lucia Pisano


Ritorno dei Borboni ed Insurrezioni

Intanto a Napoli, a seguito del trasferimento di Napoleone all'isola d'Elba, Ferdinando IV tornò a restaurare il regime borbonico.
Caselle divenne comune di terza classe in quanto contava meno di tremila abitanti.
Gli amministratori continuarono ad essere decurioni nominati dal sottintendente attraverso Liste di Eleggibili. Per far parte di tale lista bisognava prima di tutto possedere uno spiccato senso morale ed in secondo luogo avere una rendita annua che ammontava ad un minimo di 18 ducati. Da ciò scaturì che furono sempre le stesse famiglie benestanti (non necessariamente attaccate alla morale) ad esercitare il potere amministrativo: gli Orlando, gli Alleva, i Tancredi, i Navazio, i Risoli, i Solazzi, i Lo guercio, i Granata, i Barbelli, i Sabini.
Il malcontento popolare non accennava a placarsi anzi, le masse contadine guidate ed incitate da poche illuminate menti borghesi, cominciarono ad organizzarsi per la sanguinaria rivolta del 1° luglio 1820. Queste agitazioni sociali coinvolsero pochi galantuomini casellesi appartenenti alla borghesia liberale e moderata che partirono alla volta di Napoli "Ad obbligare il Re Ferdinando I di Napoli a dare la costituzione, secondo l'intezione della Nazione" (cfr "Libro di memoria di don Paolo Orlando"). La popolazione casellese fu sempre lontana dai fermenti che scuotevano la Nazione e proprio in questi anni visse il periodo più difficile a causa di una profonda carestia che sembrava non avere vie d'uscita. Le piogge e le grandinate si erano succedute senza tregua durante gli inverni in modo da distruggere i raccolti e sradicare gli alberi da i più grandi fusti che , cadendo, avevano provocato non pochi danni ad abitazioni e cascine. La situazione economica, inoltre, era mutata di pochissimo rispetto al 1815: le entrate erano aumentate di appena 60 ducati.
A tutto ciò si univa l'incapacità dell'amministrazione di gestire i fondi comunali per superare la crisi che viveva la popolazione. I liquidi, infatti, vennero investiti in grandi opere di scarsa utilità sociale: solo 20 ducati erano stati spesi per la manutenzione delle strade e per la realizzazione di opere pubbliche, ben 23 ducati erano stati utilizzati per l'imbiancatura della Chiesa Madre; 14 ducati per la festività di San Michele; 36 per la sepoltura della Chiesa Madre e ben 45 per comprare le tegole della Chiesa Madre.
La situazione venne resa ancora più difficile dall'arrivo di scorribande di briganti che saccheggiarono nelle campagne raccolti e bestiame. Nel 1828 il sindaco Nicola Solazzi, attraverso duri provvedimenti, cercò di contrastare tale fenomeno che in primo luogo minacciava proprio i possidenti. Attraverso la nomina di una Guardia Urbana, il sindaco, diede il via alla "caccia" dei briganti in tutte le periferie del paese.
La miseria dilagava e fomentava ed inaspriva odi e rancori personali che generavano tensioni e violenze all'interno della popolazione.
Nel 1832 si esaurì dopo tre anni il mandato a sindaco del notaio Michele Loguercio che lasciò la carica a Don Paolo Orlando. Con la sua nomina la famiglia Orlando tornò dopo ben 24 anni ad occupare la carica amministrativa più importante. Il nuovo sindaco dimostrò subito un amministratore illuminato e lungimirante. Questi, infatti, dette notevole impulso alla realizzazione di opere pubbliche e, con l'aiuto dell'esattore comunale Gennaro Peluso, si impegnò con profondo zelo nell'opera di rifacimento di strade e fontane in particolare della fontana Formara. A due anni della sua investitura, nel febbraio 1835, poco prima di terminare il suo mandato, morì.
L'anno successivo fu scosso dalla paura della diffusione del colera che aveva già mietuto centinaia di vittime nei comuni limitrofi. A Caselle non sono documentati casi di morte, ma sappiamo con certezza che il comune destinò bel 160 ducati per creare all'interno della chiesa di San Rocco nuovi loculi (probabilmente questa fu soltanto un azione preventiva in "attesa" del colera). La decisione del Decurionato di creare nuove sepolture dentro San Rocco fu criticata dal sottintendente in quanto Questi reputava che tale progetto costituisse un pericolo per la salute della popolazione che si sarebbe trovata, quotidianamente, a passare su una strada igienicamente non protetta. L'anno successivo, però, a causa della mancanza di sufficienti loculi per accogliere le salme, lo stesso sottintendente invitò il Decurionato a seppellire, temporaneamente ( in attesa della costruzione del cimitero), i morti nella cappella "rurale" di San Rocco.
Nello stesso anno Caselle, definendo i Regolamenti di polizia urbana, riuscì a compiere un decisivo passo avanti per una civile e pacifica convivenza.
Si arrivò così al 1848 quando scoppiarono i nuovi i moti insurrezionali. A seguito di questa seconda rivolta, il Re Ferdinando II si vide costretto a concedere la costituzione (29 gennaio) che dava vita ad un parlamento composto da due camere: la camera dei pari e la camera dei deputati; i primi di nomina regia i secondi eletti da pochi elettori individuati su base censitaria. La legge elettorale provvisoria del 29 febbraio fissò in 24 ducati il censo per gli elettori e in 240 quello degli eleggibili. A Caselle venne nominata dal Decurionato una Giunta Elettorale a cui venne affidato il compito di stilare sia la Lista degli Eleggibili sia degli Elettori, rispettando ovviamente i parametri imposti dalla legge. Con la concessione della costituzione e la creazione di un parlamento si apriva alla borghesia la possibilità di affermarsi in campo politico e amministrativo.
La borghesia terriera ebbe come prima preoccupazione quella di recuperare i terreni demaniali che erano stati preda, durante i moti, del "contadiname". Furono per questo istituite le Guardie Nazionali che si andavano a sostituire alle Guardie Urbane di fede borbonica. A Caselle la Guardia Nazionale era composta da 109 elementi, quasi tutti appartenenti alle famiglie più in vista del paese. Il loro compito era quello di mantenere l'ordine sociale che tradotto vuol dire difendere gli interessi della borghesia terriera.
Il 15 maggio Ferdinando II con un provvedimento inaudito ritirò la Costituzione. Le Guardie Nazionali vennero sciolte e furono ripristinate le Guardie Urbane. Questa azione fece infiammare nuove e più cruente battaglie non solo a Napoli, ma anche e soprattutto nel Cilento. Pisacane, infatti, sbarcato sulle coste di Sapri, non potè che ammirare il coraggio e la tenacia di questi uomini, tanto da affermare che proprio da questa terra doveva partire per arrivare a realizzare il suo progetto di giustizia e uguaglianza. Il Nostro eroe, inoltre, capì che per raggiungere la libertà bisognava coinvolgere prima di tutto le masse contadine che rappresentavano la maggioranza della popolazione e costituivano per questo una fondamentale forza nella lotta al potere borbonico. Le autorità borboniche diedero vita ad una cruenta repressione ed estromisero dalle cariche pubbliche tutti coloro che si erano "compromessi" durante i moti, sostituendoli con persone di "sicura" fede monarchica.
Proprio con la restaurazione del dispotismo borbonico cominciò l'ascesa politica di Don donato Orlando. Questi, dapprima eletto sindaco di Caselle, divenne successivamente consigliere distrettuale e fu il braccio destro del sottintendente Giuseppe Calvosa che gli affidava spesso compiti molto delicati. Orlando di assoluta fede borbonica seppe farsi apprezzare anche nei seguenti anni dell'unità nazionale. Durante la sua amministrazione si preoccupò prima di tutto di curare e accogliere i bambini orfani e provenienti da famiglie particolarmente povere.
Nel maggio 1859 scoppiò la seconda Guerra di Indipendenza che determinò l'annessione della lombardia, dell Emilia e della Toscana al Regno del Piemonte. A questa seconda operazione militare il Regno delle due Sicilie, contrariamente a quanto avevano fatto nella I Guerra d'Indipendenza, non prese parte.
Alla vigilia dell'unità, Caselle continuava ad essere uno dei paesi più poveri di tutto il Cilento: le entrate nelle casse comunali erano scese ad appena 1000 ducato e, come al solito, i fondi che venivano sfruttati per la popolazione erano sempre di meno. Nel frattempo Garibaldi avanzava lungo lo stivale trovando nel Cilento un gran numero di sostenitori che si arruolarono come volontari garibaldini. A Caselle, come in tutti gli altri paesi, venne formata una giunta insurrezionale, secondo gli ordini del governo provvisorio; a farne parte erano proprio quei galantuomini che erano stati legati a doppio filo alla potenza borbonica. Lo stesso Donato Orlando, che aveva giocato un ruolo politico di grande importanza durante la dominazione borbonica, divenne in questi anni capo delle ricostituite guardie nazionali.

  a cura di Maria Lucia Pisano


L'Unità d'Italia

Con l'entrata di Garibaldi a Napoli e col successivo referendum del 21 ottobre, il Regno delle due Sicilie passo alla corona sabauda. La risposta all'annessione da parte della popolazione non fu univoca; si verificarono, infatti, scontri, saccheggi e omicidi da parte di chi rifiutava la nuova monarchia e inneggiava a Francesco II di Borbone. Il potere politico e amministrativo continuò ad essere posseduto dalle famiglie benestanti, il ché indicava che dal passaggio Borbone-Savoia, in fondo, non è che fosse cambiato molto. Indicativa può essere la situazione di Caselle dove la poltrona di sindaco lasciata vuota da Donato Orlando venne presto occupata da Don Emanuele Barbelli, istruito e facoltoso galantuomo casellese.
La legge elettorale venne modificata in modo che la lista degli elettori venisse allargata a tutti i possidenti in grado di saper leggere. I consiglieri che andavano a sostituire il Decurionato vennero nominati dal potere regio: duravano in carica a tempo indeterminato e ogni anno solo uno, per sorteggio, veniva rinnovato; anche il sindaco, scelto dai consiglieri, era di nomina regia.
Un'altra innovazione fu la creazione della giunta comunale che aveva il compito di dare esecuzione alle delibere del consiglio.
Nel 1861 nelle casse comunali entrarono 1608,13 lire, il che ci induce a pensare che almeno da un punto di vista economico vi era stato un lieve miglioramento che contrastava, però, con i disordini provocati dal brigantaggio. Questo movimento fu sostanzialmente la risposta alle tristi condizioni nelle quali erano costretti a vivere i contadini, sempre più sfruttati e sempre più affamati. A combattere i briganti fu chiamata la guardia nazionale che a Caselle, come ricordiamo, era capeggiata da Don Donato Orlando che, con la sua elezione a consigliere provinciale, aveva proprio in questi anni iniziato la sua seconda ascesa politica. Nel 1863, sotto richiesta del prefetto, un decreto regio di Vittorio Emanuele II autorizzo il nostro comune ad assumere il nome di Caselle in Pittari. L'aggiunta di "in Pittari" risultò necessaria per distinguere il nostro paese da altri omonimi abitati del Regno; in questo modo, inoltre, si rimarcava il legame geografico e religioso che univa gli abitanti del nostro piccolo centro alla loro montagna sacra.
Nello stesso anno si registra un considerevole aumento della richiesta di passaporti. Stava prendendo piede il fenomeno dell'emigrazione: uomini e donne in cerca di condizioni di vita più agevoli si spostavano soprattutto nelle Americhe e in particolar modo nella capitale argentina, Buenos Aires, dove, pare, emigrò nel 1861 lo scalpellino Giuseppe Parente, padre dell'illustre clinico Abele. Il fenomeno del brigantaggio si estendeva a macchia d'olio e arginarlo sembrava sempre più difficile anche perché a dar man forte ai briganti era proprio la popolazione che vedeva in loro la figura di alleati pronti a combattere per realizzare quel riscatto economico e sociale tanto agoniato. Proprio in questi anni gli incendi e i furti a danno dei benestanti si moltiplicarono e subì un notevole aumento il numero di contadini che si unirono alle bande di briganti .
Il 1865 fu l'anno delle seconde elezioni politiche dopo l'ottenuta unita d'Italia. I cittadini che pagavano un minimo di 40 lire all'anno di imposta di ricchezze mobili avevano il diritto al voto e per esercitarlo dovevano recarsi al capoluogo del mandamento (Sanza) muniti di certificato.
Tra il giugno e l'agosto del 1866 si svolse la terza guerra di Indipendenza che vide coinvolti anche alcuni arruolati casellesi: Santoro Orlando che cade a Lissa il 20/07/1866 nell'affondamento della corazzata Re d'Italia; Risoli Paolo, Torre Michele, Spagnolo Giuseppe, Pellegrino Antonio, Fiscina Michele, Lo guercio Michele, Lo guercio Benedetto, Fiscina Antonio, Crispo Angelo, Granato Domenico, Peluso Michele, La Porta Michele, Loguercio Pasquale, Crispo Angelo. Alla fine di questo terzo conflitto l'Italia riuscì ad annettere al suo territorio solo il Veneto, mentre il Trentino restava ancora sotto il dominio degli austriaci. Per far fronte alle spese di guerra il Re decise di tassare ulteriormente i contadini che purtroppo si trovavano proprio in questi anni a vivere uno dei periodi più bui.
Nel 1869 entrò in vigore la tassa sulla macinazione che è passata alla storia come "la tassa della disperazione"; questa imposta mise letteralmente in ginocchio l'attività molitoria .
La giunta comunale cercò di creare condizioni di pagamento meno sfavorevoli per la popolazione, già troppo povera e affamata, ma niente riuscì a placare il malcontento popolare e a risolvere i problemi che a causa di questa tassa scaturivano per l'alimentazione del bestiame e della stessa comunità.
Nel 1870 un corpo di bersaglieri agli ordini del generale Raffaele Cadorna la mattina del 20 settembre, aperta una breccia nelle mura presso Porta Pia occupò Roma e l'annesse al Regno.
In questa campagna militare presero parte anche due casellesi Crispo Angelo e Fiscina Michelangelo, fregiato della medaglia commemorativa.
Dopo la terza guerra di Indipendenza il fenomeno dell'emigrazione crebbe a dismisura.
A Caselle molti furono i giovani che, nel tentativo di scappare alla miseria, partirono per il sud America.
Le condizioni economiche e sociali a Caselle, infatti, si inasprivano sempre di più e per i poveri diavoli era sempre più difficile riuscire a sopravvivere. A determinare queste condizioni fu, in primo luogo, l'incapacità amministrativa dei consiglieri comunali e del sindaco Angelo Sabini che gestirono in pessimo modo i fondi della cassa comunale; in seconda istanza a far degenerare la situazione fu la pressione fiscale che diventava sempre più insostenibile per i cittadini.
Questo status di cose rappresentava terreno fertile per il brigantaggio che conobbe in questi anni un periodo di nuova fioritura.
Un dato positivo di questi anni fu l'avvio dei lavori per la costruzione della strada nazionale Valle D'Agri che avrebbe collegato i paesi della valle del Bussento e del golfo di Policastro ai paesi del vallo di Diano. Della dirigenza dei lavori, che furono ultimati solo verso la fine del secolo, fu incaricato il geometra di Sala Consilina Antonio Mauro.
L'8 dicembre 1874 si votò per la 12° legislatura e, come già avvenuto nel 1870, risultarono eletti nuovi esponenti della sinistra.
La sinistra italiana, infatti, si avviava verso la grande affermazione elettorale che le elezioni del 5 novembre 1876 confermarono.
Alla caduta di Marco Minghetti il Re Vittorio Emanuele II decise di affidare la presidenza del consiglio a Depretis che sintetizzò il programma della sinistra nei seguenti punti: allargamento del suffragio elettorale maschile; riforma fiscale con abolizione della tassa sul macinato; garanzia dell'istruzione elementare gratuita ed obbligatoria a tutti i bambini del regno; attuazione di un vasto progetto di lavori pubblici che riguardava soprattutto l'arretrato mezzogiorno.
La sinistra storica attuò anche una politica coloniale che condusse i nostri soldati, negli ultimi 20 anni del secolo, sulle coste africane. Da Caselle partirono: Salamone Michele, Lo guercio Angelo, Liana Nicola, Greco Antonio, Montella Tommaso e Speranza Felice.
Nel 1936 i primi 4, ancora in vita, risiedevano a Caselle; gli ultimi 2, al contrario, erano emigrati in America Latina da diversi anni.
Particolare rilevanza prende in questi anni l'adozione del primo regolamento di polizia edilizia.
Nel 1890 vi fu una nuova diffusione di epidemie, ora il nemico da combattere era il vaiolo. A Caselle ci furono diversi casi di contagio, ma solo due si risolsero con la morte degli infetti.
Finiva così il diciannovesimo secolo: tra miseria e malattie; si apriva l'alba del nuovo secolo che, almeno nella sua prima parte avrebbe portato, miseria, guerra a tanta morte.

 a cura di Maria Lucia Pisano

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