i primi insediamenti umani risalgono alla preistoria
Villacidro, la cui nascita risale probabilmente al II secolo d.C., sembra quasi sovrastare da nord/ovest la piana del Campidano di Cagliari, e si adagia sulle ultime propaggini sud-orientali del complesso del monte Linas, che la proteggono dai venti freddi del nord.
Questa felice disposizione geografica del territorio e la grande abbondanza d'acqua delle numerose valli che lo solcano, quasi a raggiera, per perdersi e confondersi infine nell'uniformità della pianura, attirò qui, fin dai tempi della preistoria, insediamenti umani di una certa consistenza.
La presenza dell'uomo del neolitico e dell'età del rame è documentata ormai in molti siti: piccole comunità si insediarono a Sa Spendula (foto1, foto2, foto3) e in tutta la circostante zona di Seddanus, a Cannamenda, (famosa fino agli anni 70 per la sua ricchissima sorgente naturale), a Seddus ( S' 'ena 'e Seddus, cioè la vena, la sorgente di Seddus), e lungo tutto il corso del rio Villascema (foto) e del rio Leni, dove sono state rinvenute numerose stazioni di lavorazione dell'ossidiana.
Tutte queste località non furono abbandonate in età nuragica, anzi la presenza umana, pur senza raggiungere la consistenza dei grandi centri, si consolidò dappertutto, lasciandoci preziose testimonianze nel villaggio di Cottega (foto1, foto2) e nei nuraghi di Narti, Nuraxi, Cuccur' 'e Crabas (foto1, foto2), Cuccuru Muntoni (foto1, foto2) e Genna Uraxi (foto1, foto2), costruzione, quest'ultima, posta quasi a vigilare sull'accesso all'angusta vallata di Monti Mannu, dove non è improbabile che quelle popolazioni sfruttassero, già fin dalla fine del secondo millennio a.C., le importanti risorse minerarie di Canale Serci (foto1, foto2, foto3).
Anche in età romana il territorio di Villacidro fu popolato intensamente; ne sono testimonianza le tombe scoperte nella II metà dell' Ottocento a Seddanus, e la necropoli venuta alla luce, in pieno centro storico, nel 1873, durante i lavori di demolizione dell'ex convento dei Mercedari: dove oggi sorge il Municipio furono infatti scoperte 26 tombe scavate nell'arenaria e coperte di lastroni di pietra.
In quegli scavi furono recuperati vasetti e scodelline di terracotta, monili di vetro e parecchie monete dell'età degli Antonini (II secolo d. C.), che fecero scrivere al canonico e archeologo Giovanni Spano che "Villacidro doveva essere un vasto oppido romano".
Altre scoperte si sono poi aggiunte, col tempo, a dimostrare l'intensa frequentazione romana del nostro territorio: numerose altre tombe sono state trovate un po' dappertutto (Ruinas, Is Guardias, Villascema, S'Aqua Cotta, Saboddus), mentre i ruderi di due terme romane si possono ammirare ancora a Nuraxi e a Bangiu (foto1, foto2), strutture che sicuramente facevano parte di importanti "Villae" di età imperiale.
Probabilmente Villacidro sorse proprio intorno a una villa, dimora di qualche politico, di qualche potente cittadino romano, di qualche ricco proprietario che si era fermato in questi luoghi attratto dalla fertilità del suolo, dall'abbondanza delle acque, dalla maestosità dei boschi.
Quando Villacidro nasceva, però, Leni era già un villaggio popoloso e grande; era il villaggio della pianura intorno al fiume omonimo, e continuò a svilupparsi, tant'è che divenne, nel XIV secolo, il centro più ricco della Curatorìa di Gippi; poi decadde e alla fine del XVI secolo non esisteva più.
Villacidro, invece, la "villa citra", la villa, secondo Efisio Cadoni, di qua dal fiume, crebbe gradatamente e venne quasi a contrapporsi a Leni, il centro abitato più antico.
Venne chiamata, come risulta da alcuni documenti del 1322, Xedri de Leni e, in una statistica pisano/aragonese del 1328, Villacidro de Leeni, forse per indicare la dipendenza del centro dal villaggio più importante di quel tempo: Leni, appunto.
Nel 1414 sia Villacidro sia Leni erano disabitati: Giovanni De Francesco ( "Un comune di montagna", 1902), ci fa sapere che, col "regio diploma" del 27 ottobre di quell'anno, Alfonso V cedette "l'incontrada di Parte Ippis", eccetto Villacidro che era, "dempta...deserta et sine aliqua populatione", a Giovanni Civiller (o Siveller), "aragonese di Cagliari".
Nel 1420 Villacidro era di nuovo un villaggio in forte ripresa: un nuovo regio diploma, infatti, aggiunse agli altri feudi del Civiller, quello di Villacidro.
Con la morte dell'ultimo erede, Fabrizio Gerp, nel 1582 il feudo che, oltre Villacidro, comprendeva anche Serramanna, tornò "sotto la giurisdizione regia".
Il 4 giugno del 1594 il feudo di Villacidro venne messo all'asta e ceduto dal re Filippo II al miglior offerente; se lo aggiudicò per 100 mila lire sarde, come scrive il De Francesco, il "semplice cavaliere" don Giovanni Gerolamo Brondo.
I Brondo divennero nobili nel 1603 con don Tommaso, il cui figlio, don Antonio, fu nominato conte di Serramanna e marchese di Villacidro.
Il secondo marchese di Villacidro fu suo figlio, don Francesco Lussorio, che si sposò con donna Faustina di Castelvì, ma morì presto, lasciando la vedova padrona del feudo.
Della marchesa donna Faustina si conosce un atto pubblico del 1651, che sottoscrisse assieme al notaio Fulgheri; mediante quest'atto la nobildonna esaudiva molte richieste fattele da 278 suoi vassalli, ivi nominati uno per uno, che rappresentavano i due terzi della popolazione villacidrese di allora, che dunque doveva essere di 2500 anime.
La marchesa morì il 1° luglio del 1668 e l'eredità dei Brondo passò di mano in mano finché, quando il dominio spagnolo in Sardegna era finito ormai da 24 anni, il 16 settembre del 1744, il marchesato di Villacidro e Palmas fu confiscato per decreto del re Carlo Emanuele III.
Il passaggio dalla dominazione spagnola a quella sabauda non produsse sensibili miglioramenti, ma sicuramente si ebbe una grande trasformazione del paese nel XIX secolo, allorché Villacidro divenne, con regio editto del 4 maggio del 1807, la prima tra le 15 residenze prefettizie, con competenze amministrative e giudiziarie su 43 Comuni, quando la prefettura di Cagliari comprendeva appena 28 Comuni.
Tra la prima e la seconda metà dell'Ottocento, almeno sul piano politico-culturale, Villacidro visse il suo momento di gloria, evidenziato dall'avvio agli studi economici e giuridici di molti suoi giovani. Di conseguenza il paese ebbe parte notevolissima nel movimento intellettuale e politico della provincia con uomini di grande levatura, quali Antioco Loru, Giuseppe Todde, Giuseppe Fulgheri, Ignazio Cogotti.
Quelli, però, furono anche gli anni più difficili perché, come tutti gli abitanti dell'isola, i Villacidresi erano sempre più poveri e sempre più affamati, a causa della scarsa produzione di grano, a causa degli speculatori, a causa della terribile carestia che sembrava peggiore di quella de "s'annu doxi", quella del 1812, che veniva ricordata con l'espressione, viva ancor oggi, "su famini de s'annu doxi".
Tra la prima e la seconda metà dell'Ottocento, però, dopo l'editto delle chiudende del 1820 e l'abolizione dei feudi del 1836 l'abolizione degli ademprivi, cominciò a verificarsi una lenta trasformazione della nostra società e della nostra economia agricolo-pastorale, che avrebbe portato in tempi brevi alla formazione della proprietà privata.
Questo processo evolutivo, ben descritto da Salvatore Curridori nella sua ultima ricerca "Giuseppe Fulgheri e i fatti di Villacidro", sicuramente trasformò il paese, traghettandolo dalla società tardo-medievale a quella moderna, nella quale i problemi non mancano, ma sicuramente si offrono soluzioni e possibilità di miglioramento e di progresso un tempo impossibili.
Il paese infatti si sviluppò, e non crebbe solo numericamente, se è vero che, nelle immagini dei suoi visitatori, già fin da quei tempi veniva celebrato non solo per le sue bellezze naturali e per i suoi boschi ricchi di acque cristalline, ma soprattutto per l'amenità dei suoi campi coltivati e per la prelibatezza dei frutti che si esportavano in tutta la Sardegna.
Antoine-Claude Pasquin, il Valery del "Voyage en Corse, à l'ile d'Elbe, et en Sardaigne" del 1837, scrive di Villacidro e delle sue "valli rinfrescate dai molti ruscelli e coltivate ad alberi da frutta (che) ne fanno un luogo tra i più piacevoli e salubri dell'isola" e del "giardino" dei "vescovi di Ales" che abbonda di aranci di una grandezza straordinaria" e dei "giardini di Villascema, una foresta di alberi da frutta e soprattutto di ciliegi che forniscono ciliegie ai mercati di Cagliari e del Campidano".
Gabriele D'Annunzio scrisse dei "boschi d'aranci" di Villacidro e celebrò l'abbondanza delle sue acque col famoso sonetto dedicato alla cascata "Sa Spendula", sonetto che compose, probabilmente non da solo, in occasione della sua visita al nostro paese in compagnia di Cesare Pascarella e di Edoardo Scarfoglio.
I tre "turisti" ammirarono l'incantevole cascata in compagnia di alcuni amici villacidresi, tra i quali il prof. Giuseppe Todde, che li guidarono nella scampagnata primaverile alla "spendula" di Seddanus, il 17 maggio del 1882.
Un altro viaggiatore d'eccezione, Michele Prisco, nel suo libro di memorie, "Il cuore della vita", riserva più di due pagine a Villacidro, scrivendo, tra l'altro, "la Spendula meritava una poesia, e poi qualcosa, nel paesaggio, ricorda i monti d'Abruzzo e forse un'ancestrale emozione dovette ispirare D'Annunzio quando ci venne".
Da allora Villacidro ha continuato a vivere, e a crescere: se a partire dal Seicento aveva disboscato e coltivato i terreni pianeggianti di Saboddus, de S'Acqua Cotta, di Trunconi e di Turrighedda, nella prima metà del Novecento arrivò a coltivare e a rendere fertili anche le falde più impervie delle sue colline e delle sue montagne. Era un'economia povera, basata sui sacrifici, sul sudore, sullo spirito di sacrificio della popolazione.
Poi, negli ultimi decenni del Novecento, esplose lo sviluppo industriale; le fabbriche portarono benessere e, purtroppo, anche l'abbandono di molte campagne.
Il sogno non fu molto duraturo: i Villacidresi si dovettero svegliare e, bisogna dirlo, seppero reagire: qualcuno tornò in campagna, molti altri cercarono soluzioni diverse, sfruttando talvolta le possibilità offerte dalla tecnologia e dall'economia moderna.
Oggi dall'alto dei costoni di Cuccurdoni, di Anzeddu e di Magusu, di Giarranas e di Monte Margiani, di Castangias, di Cuccur' 'e Frissa e di Cuccureddu, sotto i vetusti e amatissimi pini de Su Cramu e di Monte Omu, Villacidro si protende ancora ad offrire, al visitatore che giunge dalla pianura, l'olio genuino dei suoi uliveti, le gustose mandorle dei suoi mandorleti, la squisita frutta dei suoi pescheti e dei suoi agrumeti.
Contemporaneamente ha sostituito le ciminiere delle sue industrie con la fervida attività di oltre 120 piccole e medie imprese, che offrono prospettive di sviluppo al paese e a tutto il territorio circostante.
E, nonostante tutto, continua a difendere e a mantenere le sue tradizioni e la sua identità !
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