Itinerari nel crotonese: Cirò

Itinerari nel crotonese: Cirò

su una dolce collina salubre e ben coltivata

Posto a cavaliere di una collina, esposta ai venti da tutti i lati, a 360 metri circa di altitudine, Cirò ha un territorio esteso per due terzi in dolce collina salubre e ben coltivata, il rimanente in pianura vasta e ricca di vigneti, oliveti e agrumeti. Ad oriente si contemplano la verdeggiante pianura dell'Alice ed il Mare Jonio, a occidente i monti di San Nicola dell'Alto, Carfizzi e piu'sotto di Melissa e Strongoli, a nord-est i monti di Umbriatico e di Crucoli. La natura del suolo è in parte sabbiosa e in parte cretosa.
Alcuni storici ne fanno risalire l'origine all'alto medioevo, ma la sua storia è millenaria. Infatti, al IX sec. a.c., risalgono le sei asce ad occhio, in bronzo non rifinite, senza filo di taglio, rinvenute sul colle di S.Elia. Altri giacimenti furono riportati alla luce nelle località Cozzo Leone, Cozzo S.Sotero, Serra Sanguigna, Santa Maria del Casale.
Tutto ciò induce a credere che in età preellenica, in Cirò e nei suoi immediati dintorni erano sparsi vari villaggi, ma poche sono le traccie dei loro antichi abitanti; ma la presenza di un luogo di culto indigeno che svettava sul promontorio dell'Alice, preesistente, all'arrivo dei greci, ci induce a credere che la civiltà di queste popolazioni indigene non era tanto rozza e primitiva.
Dopo l'VIII sec. a.c. approdarono sul litorale i coloni greci e fondarono la città di Crimisa. Quale zona comprendesse e quale ne fosse precisamente l'estenzione, è oggetto di diatribe tra storici e archeologi. Alcuni, con dotte argomentazioni, la collocano nella zona litoranea che corrisponde all'odierna Cirò Marina, altri adducono tesi contrarie e pensano che la città sorgesse sui colli sovrastanti il litorale cirotano. Qualunque sia stata l'ubicazione, certamente la scelta del luogo fu dettata dalla scelta della presenza di un'ampia e fertile pianura, di acque salubri e abbondanti, di fitti boschi ricchi di legname e selvaggina.
Crimisa col tempo conobbe una grande fioritura e fama di città sacra per la presenza del tempio di Apollo Aleo sul promontorio della Lice e di altri luoghi di culto, i templi di Venere, di Cupido, di Bacco e di Giunone. Un posto di primo piano occupavano nella sua fiorente economia l'ulivo e la vite che i coloni greci estesero anche alle pendici collinari.
I vigneti di Crimisa, celebri nell'antichità, sono tuttora fonte di ricchezza per gli abitanti di Cirò e del suo circondario. Per tutto il periodo magno-greco coesistettero nel territorio di Cirò una città, forse costiera, e più villaggi, sparsi sulle colline retrostanti, il principale dei quali era "Ypsicron"(l'odierna Cirò).

Perchè e come scomparve Crimisa?
Forse l'inizio della sua decadenza inarrestabile si ebbe con la seconda guerra punica, quando la città greca fu percorsa, predata e saccheggiata dagli eserciti romani e cartagginesi. Altre sequenze di distruzioni subì Crimisa durante la guerra gotico-bizzantina che fu fatale anche a molte altre città greche dislocate sulla costa jonica.
Più tardi, quando dall'VIII al X secolo si batte sulla città la furia dei saraceni, la necessità di sopravvivenza divenne per i suoi abitanti un problema reale e urgente. Stanchi di lotte, di sangue e di privazioni, cercarono la salvezza sulle colline soprastanti, provvosti di una difesa naturale, andarono a ingrossare i villaggi preesistenti, tra cui Ypsicron.
Crimisa, abbandonata dall'opera dell'uomo, lentamente scomparve inghiottita dalle paludi; della città greca oggi non rimane che il ricordo.
Mentre Crimisa tramontava, Cirò sorgeva a nuova vita. L'originario nucle urbano che era ubicato nella zona selvaggia del portello, ben difeso con i suoi fianchi dirupati a strapiombo sulla roccia, si ampliò notevolmente per l'apporto degli abitanti della costa scampati alle spoliazioni, ai saccheggi, alle insidie del mare.
Intanto Cirò registrava un ulteriore flusso immigratorio, quello dei monaci basiliani che si stabilirono nelle località Maddalena, Sant'Opoli, Fringiti e numerose grotte eremitiche dove vivevano in solitudine e in preghiera. Ancora oggi restano nella topomastica locale echi bizzantini: i monumenti, il Cozzo del Convento, croci minute, significativi di una presenza basiliana nel nostro territorio.
In età bizantina, a Cirò come nel resto della Calabria, fiorì la vita religiosa.
Il 12 Maggio del '900 venne alla luce San Nicodemo, il santo basiliano di Cirò.
Piano piano il nucleo originario del Portello si era esteso oltre piazza San Giovanni Battista e la piazza maggiore per poi ampliarsi fino al rione Cannone, occupando così tutta la dorsale della collina, e sul lato sud fino al rione Valle che raccoglie le acque dell'abitato.
Il paese era racchiuso nel castrum fortificato dove si sentiva efficacemente tutelato dagli assalti nemici. Nell'XIII sec. gravi lotte dinastiche funestarono il regno di Napoli conteso tra Svevi e Angioini. Cirò fu teatro di una sommossa fomentata da un suo cittadino Rinaldo di Ypisicron, altro antico nome di Cirò, un valoroso guerriero, energico e risoluto. Nominato Vicario generale per la Calabria da Corradino di Svevia, percorse in lungo e la largo la regione, chiedendo l'appogio armato dei baroni meridionali alla causa dell'ultimo Svevo.
Il moto ebbe momenti di violenza inaudita, città e castelli furono presi d'assalto e messi al sacco. Ma contro Rinaldo e i suoi, Re Carlo scatenò un accanita e spietata repressione che si concluse entro le mure di Gallipoli dove Rinaldo e molti baroni calabresi si erano rifugiati in un disperato tentativo di estrema difesa.
La città fu espugnata nel 1269 e i ribelli pagarono con la vita la ribbellione alla causa angioina. Inpadronitosi del regno di Napoli, Carlo d'Angio investì di feudi e signorie molti nobili francesi che erano venuti in Italia al suo seguito. Cirò (Ypsicon detto lo Zirò), terra tra le più importanti contava allora 3616 abbitanti è fu concessa da Re Carlo a Giovanni di Montfort. Alla sua morte il feudo passò da un feudatario all'altro fino a quando il 18 ottobre 1390 la baronia di Cirò passò a Niccolò Ruffo, potente conte di Catanzaro e marchese di Crotone.
Tranne brevi interruzioni Cirò rimase sotto i Ruffo fino al 1496. Intanto il paese si era esteso ulteriormente; man mano che la popolazione aumentava sconparvero
orti e giardini per dare posto alle case per lo più basse,causa della difficile conformazione del terreno, sorsero appiccicate l'una all'altra, lungo i pendii della collina verso il rione Valle.
Il 14 ottobre 1496 Re Federico concedeva la contea di Santa Severina, unitamente ad altri paesi, tra cui Cirò, ad Andrea Carafa, della potente famiglia napoletana dei Carafa della Spina. Il conte Andrea,che in vita ricoprì importanti incarichi militari e politici, avvertì la necessità di fortificare il paese, vulnerabile ed esposto a invasioni e scorrerie, e cinse l'abitato di una cinta di mura, fornite di quattro porte: porta Mavilia, porta Scezzari, porta Cacovia e porta Falcone.
Ampliò inoltre il castello fortificandolo fortemente e ricostruendo più arretrato e con un piano più alto di quello originario il corpo ovest, precedentemente crollato.
Per completare le opere di fortificazione occorsero circa trenta anni.
Agli inizi del XVI sec. la configurazione del centro storico era ormai delineata: accanto alle poche vie principali come via Cremissa, via Marconi, via Vallone, corso Lilio, via Nicotera, via Colombo, via Garibaldi e via Casoppero, lungo le quali si elevano la maggior parte dei palazzi signorili, c'era una ragnatela di vicoli con case addossate l'una all'altra a causa della necessità di utilizzare la ridotta area edificabile disponibile entro le mura di cinta, essendo vietato costruire fuori di esse per motivi di sicurezza.
Le frequenti scorrerie dei Turchi non davano infatti tregua agli abitanti di cirò, nonostante la presenza di diverse torri dislocate lungo il litorale e dell'entroterra: torre Vecchia, torre Nuova, torre di Solagi, torre di Pozzello, torre di curiale, torre di S.Vennera. Dette torri, oltre a funzioni di difesa e di rifugio, assolvevano al compito di osservazione, di vedetta e di segnalazione di un imminente pericolo agli abitanti del luogo per porsi al riparo nel paese fortificato o nei fitti boschi. Ma questo poderoso apparato di difesa pare non godesse di molta efficacia se potè consentire che le incursioni continuassero vementi per tutto il cinquecento, il seicento e in parte il settecento e i primi dell'ottocento.
Di particolare gravità fu quella del giugno 1707 quando i Turchi, guidati da rinnegati, riuscirono a penetrare nel paese che sacchegiare e incendiarono e, dopo aver trucidato ben 169 cirotani, si ritirarono sulle loro navi portando con sè un ricco bottino e 1802 quando navi turchesi apparvero improvvisamente nelle acque di Torre Nuova e gettarono lo scompiglio tra i mercati presenti alla fiera di S. Croce che si svolgeva annualmente nel mese di maggio nella località di Madonna di mare.
Nell'agosto del 1806, dopo ben settecento anni di dominio esoso e di dispotico dei baroni che si alternarono alla guida del feudo di Cirò sin dal periodo Normanno-Svevo e seguito nel periodo Angioino, aragonese,spagnolo e borbonico, cessava il regime feudale. L'ultima feudataria di Cirò fu Maria Antonia Spinelli, la cui famiglia tenne il feudo per più di duecento anni, dal 1569 al 1806.
Gli Spinelli, al contrario di altri feudatari che li avevano preceduti, amavano soggiornare a Cirò e abitavano nell' antica fortezza normanna, ora Castello Sabatino, che trasformarono in dimora gentilizia.
A distanza di quasi due secoli la popolazione ha cancellato dalla memoria i nomi dei suoi dispotici dominatori. Allontanatosi per sempre il periodo Turco, l'agro cirotano risorse lentamente. In tutta la pianura sorsero numerose cascine, ville di campagna dove i proprietari terrieri soggionavano in autunno e in inverno per poi risalire in paese dopo la festa di S. Cataldo. La campagna si popolò ulteriormente al seguito delle quotizzazioni demaniali, effettuati nel decennio francese e nel periodo post-unitario che trasformarono i contadini in tanti piccoli proprietari.
Il primo Giugno del 1874 fù innagurato il tronco ferroviario Cariati-Crotone,
finalmente i prodotti agricoli locali, gli ottimi vini, gli olii e gli agrumi potevano raggiungere anche mercati lontani.
Nel 900 i lavori di bonifica prima, che colmarono le paludi costiere e la riforma agraria poi, degli anni cinquanta, provocarono una rivoluzione nello status sociale dei contadini cirotani.
Oggi il volto del vecchio paese è cambiato e si è esteso notevolmente fuori della cerchia muraria.

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