Una politica calcistica improntata al pragmatismo
Parlare di un anno di calcio biancorosso, significa calarsi da capo a piedi in una vera e propria opera di rifondazione, piena di ostacoli, difficoltà, bastoni fra le ruote, incomprensioni, ma che non si ferma. E, anzi, andrà a completamento solo in un futuro non troppo lontano. Il 2005 del Piacenza Calcio (unica squadra al mondo a portare sulla sua maglia la scritta Unicef) è il prodotto di questa poderosa ondata di novità ancora in evoluzione. Una squadra che si colloca e si mantiene in ambiti tutto sommato soddisfacenti come quelli di una serie B di medio-alta classifica, ma che pianifica il ritorno in serie A, al di là di smentite più o meno accorate, più o meno credibili. E vuole farlo decisamente a modo suo, a costo di enormi incomprensioni con l'opinione pubblica, a costo di vedere le gradinate del suo (brutto e anacronistico) stadio perdere spettatori a gogò. Vediamo, allora, quali sono stati i pezzi del puzzle già collocati e quelli che ancora lo devono essere. La ristrutturazione globale voluta dal presidente Fabrizio Garilli e affidata al fedelissimo direttore generale Maurizio Riccardi, porta avanti un concetto-base: quello della riduzione dei costi. Un'esigenza che negli ultimi tempi si è fatta strada nella testa di tutti i dirigenti del calcio italiano, di fronte a una serie di fallimenti e situazioni al limite del tracollo che hanno fatto sobbalzare più di un analista. Dopo avere detto basta agli stipendi da serie A (ma i contratti erano stati firmati in piena libertà, o no?), dopo avere tagliato nel modo più doloroso possibile il cordone ombelicale con Gigi Cagni, con Beppe Iachini si è dato corpo, dalla scorsa stagione, compresa quindi metà dell'anno solare 2005, alla fase 2 del progetto. Cioè il Progetto con la maiuscola. Non bisogna essere dei premi Nobel per capire quanto segue: di fronte a un crollo verticale delle risorse televisive, di fronte all'intenzione delle società di serie A di mettere fine al regime della mutualità (soldi che le sorelle maggiori mettono a disposizione di quelle minori), la strada è obbligata. Bisogna puntare sui giovani e su questi investire per realizzare guadagni. Atteggiamento ancora più irrinunciabile per chi, come il Piacenza, non può nemmeno disporre di un bacino d'utenza numericamente ed economicamente importante. Nel caso specifico, però, Garilli e Riccardi hanno plasmato un progetto ancora più complicato, quello di affiancare al drastico ridimensionamento dei costi la voglia di ottenere risultati sportivi importanti, cioè il ritorno in serie A. E qui la faccenda si complica e il progetto originario si inquina. Non solo giovani, quindi, perché qualche "chioccia" è assolutamente indispensabile e si deve dare vita a un mix che possa conciliare spese e risultati. La prima parte del tentativo è riuscita al 50 per cento. Il Piacenza 2004-2005 si è mantenuto a lungo a contatto con la zona play off, ha accarezzato a lungo l'ingresso nella roulette finale per la serie A, ma si è dovuto arrendere. Nonostante avesse potenzialità di primo piano. La coppia d'attacco Beghetto-Pepe era forse la più forte del campionato, ma una serie di infortuni ha frenato ora l'uno, ora l'altro. Iachini può vantarsi di avere lanciato gente come Sardo (un sola stagione vera alle spalle con l'Avellino di Zeman) e Campagnaro. Pepe e Masiello, invece, sono stati valorizzati pro-Palermo, la società che li aveva ceduto in prestito al Piacenza, per poi riprenderseli lasciarli (è storia di oggi) in panchina. Nella sua ricerca di affari piccoli e grandi, il Piacenza è andato, strada facendo, a bussare alla porta del Parma per avere Degano, giovane di valore letteralmente massacrato da una catena di infortuni, ma ha anche strappato ad altre bocche fameliche un attaccante come Ganci, di non poco costo e di non poche prospettive: ma non è stato sufficiente per raggiungere quella posizione che, alla luce dei tanti fallimenti successivi, avrebbe potuto davvero significare la serie A. Traguardo raggiunto, invece, da Treviso e Ascoli. Amen. Ben prima della fine di quella stagione 2004-2005, il Piacenza aveva rinnovato il contratto al suo allenatore. Beppe Iachini è interprete di un calcio pragmatico, finalizzato al risultato: squadra corta e raccolta, ma capace di ripartenze veloci e, per questo, assai pericolose. L'allievo di Mazzone e Novellino forgia il suo credo intorno a quel carattere ossessivamente portato alla lotta che ne aveva fatto uno dei mediani del calcio italiano dal quale tutti volevano stare alla larga (sul terreno di gioco, ovvio). Anche nell'estate 2005 ha presentato la sua lista di giocatori alla società, anche stavolta, come l'anno prima, gli è stato fatto presente che i mezzi di spesa non sarebbero stati eccessivi, ma nemmeno del tutto trascurabili. Ma gli è stato fatto presente anche un altro fatto non del tutto trascurabile: se a gennaio la squadra sarà in una posizione suscettibile di nobili intenti, alla riapertura del mercato si interverrà per non vanificare la nuova opportunità. Parallelamente, va avanti il discorso ringiovanimento-contenimento dei costi: viene data la lista gratuita a Gigi Beghetto (ufficialmente perchè ha bisogno di tornare a vivere a Treviso accanto alla mamma), Pepe e Masiello come detto tornano a Palermo, si promuovono vicino alla prima squadra giovani di belle speranze (Maccoppi, Avogadri, D'Agostino, Girometta) e, alla fine della campagna acquisti estiva, ecco l'esperienza: Margiotta e Moscardi, due vecchie volpi che Iachini aveva avuto con se a Vicenza e il cui arrivo aveva posto come garanzia di una stagione da protagonisti. Ma il pezzo forte della campagna non sono loro, ma piuttosto Marco Padalino, esterno destro svizzero prelevato dal Catania, uno che di strada ne farà molta. Coperta così al meglio la fascia destra, il mercato non riesce invece a colmare altre due situazioni: quella del portiere e quella dell'esterno sinistro di centrocampo.
La prima cosa che non si capisce è perché non sia stato rinnovato il contratto a Paolo Orlandoni, che a Piacenza stava da dio e che si collocava nella zona medio-alta dei portieri di serie B. Viene invece confermato Aldegani, al quale si affianca il giovane empolese Cassano, ben presto dirottato in panchina. Per il settore sinistro si battono essenzialmente due strade: Testini dell'Albinoleffe e il ritorno di Masiello dal Palermo. Ma va buca su entrambi i fronti. Ma torniamo a Moscardi e Margiotta, perche va sottolineato come il loro arrivo venga propiziato da uno che li conosce bene quanto Iachini, che li aveva già avuti alle sue dipendenze. Trattasi di Renzo Castagnini, che sostituisce Totò De Vitis nel ruolo di direttore sportivo, a conferma della linea di rinnovamento voluta dalla società, il cui organigramma si era già da qualche mese arricchito di un'altra figura dirigenziale, quella di Claudio Garzelli, nominato responsabile di tutte le aree. Stride questo arricchimento dirigenziale, rispetto alla sbandierata austerity. Il campo dice, lì per lì, che è tutto sbagliato. Dopo l'ennesima estate di veleni, fallimenti e calendari rinviati, finalmente si parte e a Crotone arriva un 4-0 da paura. Seguono poi settimane di lenta risalita, con Iachini nel mirino (il suo gioco non piace), financo un lungo silenzio stampa, prima della risalita: in 11 partite i biancorossi perdono una sola volta e si riportano a ridosso delle posizioni di vertice. Campagnaro diventa un punto di forza, esplode Miglionico, Sardo si mette lo smoking, Degano ritrova il gol, Stella torna in sè, i giovani Stamilla e Abate sgomitano per trovare spazio, un altro giovane (Piccolo) è... troppo giovane, ma promette davvero bene.
Ma il ritorno in alto ha soprattutto la faccia di Daniele Cacia, 22enne bomber, promessa da sempre, realtà solo da un paio di mesi. Per ognuno arriva il momento della maturazione, quello nel quale ragioni non più come un ragazzo ma come un uomo. Per Cacia, ragazzo di Calabria che ha lasciato a 13 anni per trovare fortuna nel calcio, il momento è arrivato, dopo lunghe peregrinazioni e quando qualcuno cominciava a dare ormai per morto e sepolto il suo talento. Esplode, segna, colpisce anche pali. Tutto questo succede in un contesto esterno quantomeno deteriorato. Non c'è solo la battaglia dei sindaci (guidati dal piacentino Reggi) che si oppongono alla serie B di sabato, c'è soprattutto il distacco del pubblico dalla società, accusata di avere tagliato i ponti con un passato glorioso, storico, affettivamente importantissimo. Così si sciolgono i club della curva nord, si scioglie il direttivo del Centro coordinamento, spariscono striscioni e bandiere. Il Garilli è vuoto, al pari di molti altri stadi in Italia. Il Piacenza lancia il progetto per la civiltà nel calcio (lodevolissimo) contro la violenza e per costituire club di nuovi tifosi nelle scuole. Il seme è appena stato piantato, ci vorrà tempo perché germogli. Ma il modo migliore per entrare nell'anno nuovo, è quello di ricordare una sera di fine ottobre, un lunedì sera, il 31 ottobre. C'è Cremonese-Piacenza, il derby vero, quello che manca da dieci anni e che il Piacenza, in trasferta, non vince da quasi quaranta. Piacenza torna quella di una volta: in migliaia passano il ponte sul Po e danno vita a una curva come non si vedeva da tempo, con i vecchi ultras che tornano al loro posto, qualcuno vicino al figlio. E il Piacenza vince, la festa si scatena, si crea un rapporto nuovo fra la gente e la squadra. Almeno, si comincia ad andare in questa direzione. Ci vorrà ancora tempo perché l'onda si alzi per davvero, ma qualche timido progresso c'è. Impossibile, al momento, aspettarsi di più.
Paolo Gentilotti
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