Margherita regina d'Ungheria diviene nuova Contessa di Albe
L'inizio del XV secolo vede nuovamente riaccendersi i conflitti fra gli abitanti di Avezzano e Luco per il possesso della terra di Penna. L'Universitàs di Avezzano tornò alla carica chiedendo a Margherita regina d'Ungheria, nuova Contessa di Albe, che il territorio di Penna fosse assegnato ad Avezzano ed escluso ai Luchesi. Margherita con un documento dato in Salerno il 1 giugno del 1404, assegnò la proprietà del « Territorio Pennae » ad Avezzano, ma lasciò gli usi civici (legnare, pascolare ed utilizzare l'acqua per gli animali) ai Luchesi su tutto il territorio fino al monte “Tarentino” (Colle degli Stabbi): « & homines dictae Terrae nostre Luci habent, & habere debent ius sumenti pascua, & aquas cum eorum animalibus in dicto territorio Terrae Pennae, & similitèr habere commoditates eiusdem pascua sumendi, & ligna etiam incidendi im Monte Tarentino libere » (Phoebonius 1668, III, 135-136). Nonostante questa concessione, i problemi per la definizione sui confini si trascinò fino all'età contemporanea. La Collegiata di S. Maria di Luco rimase infatti proprietaria di gra parte del territorio dell'ex Penna, dai resti di Anxa-Angitia fino all'Incile. Le conferme alla stessa chiesa luchese si estesero per tutta l'età moderna fino al risolutivo Regio Decreto del 1747 e, in età contemporanea, alle decisioni prese durante il regno di Giacchino Murat. Il 19 dicembre del 1811 a Chieti, ad opera del « Cavaliere Giuseppe De Thomasis Relatore al Consiglio di Stato e Commissario del Re per la Divisione de' Demani » fu redatto l'accordo fra il « Comune di Luco della Provincia dell'Aquila, e il Clero della Madonna delle Grazie dell'istesso Comune » per la cessione di gran parte della proprietà ecclesiastica al Demanio di Stato e quindi all'Amministrazione Comunale in base alle leggi del 2 agosto 1806, del 17 gennaio del 1810 e Reali Istruzioni del 10 marzo dello stesso anno. Alla chiesa rimase il territorio dal Vallone di S. Vincenzo fino ai confini storici con Avezzano e Capistrello. Alle proteste del Comune di Avezzano, che ancora accampava diritti ed usi civici sul territorio dell'ex Penna, il de Thomasis viste le prove presentate dei rappresentanti di Luco, dalla donazione del conte Berardo del 1074 al Regio Decreto del 1747, chiuse la questione con la dichiarazione che la pretesa avezzanese era sprovvista di prove e che « non esistono gli usi dedotti dal Comune di Avezzano » (ASA, 4).
Il ‘400 vede i numerosi conflitti fra Orsini e Colonna per il possesso delle contee di Tagliacozzo ed Albe, conflitti terminati sul finire del secolo con la vittoria dei Colonna. La sede comitale d'Albe, cui Avezzano apparteneva, era ormai, come abbiamo già detto, in abbandono ed Avezzano, il più importante feudo della contea, diventava ormai la sede permanente dei nuovi feudatari laziali. Una contea allo sbando caratterizzata dai continui passaggi feudali a favore dei membri della famiglia reale di Napoli o addirittura devoluta direttamente alla Regia Camera (Brogi 1900, II, 252-324). L'elemento più considerevole della presenza diretta dei Colonna nella contea albense, era stata la politica filo-papale della regina di Napoli Giovanna II che, per ingraziarsi Martino V, nel 1414 assegnò la Contea d'Albe al suo nipote, Lorenzo Colonna.
Dall'esame dei numerosi documenti dell'Archivio Orsini, conosciamo l'espansione della famiglia romana nel contado di Tagliacozzo ed Albe nel ‘400. Nel 1404, il 9 giugno, Margherita, madre del re di Napoli Ladislao, concedeva la contea di Albe a Giacomo Orsini per i servigi militari resi dallo stesso al figlio re (Colonna B. 1955, 199). Il giorno dopo, la stessa regina e “Contessa di Albe” Margherita, con due decreti condonava per un anno allo stesso Giacomo le tasse relative ai suoi feudi che dovevano contribuire alla pensione annua di trenta once d'oro dello stesso Orsini (Squilla 1966, 152).
Nel frattempo il Regno di Napoli è interessato dalle lotte fra Aragonesi e Angioini che si conclusero nel 1443 con la conquista aragonese di Napoli ed il defenestramento di Renato d'Angiò, ultimo esponente angioino. Alfonso d'Aragona diventa re di un regno che comprendeva nuovamente anche la Sicilia con capitale a Napoli. La Marsica è divisa in due contee: quella di Celano con i Conti di Celano cui successero i Piccolomini e quella di Albe con gli Orsini. Lo stesso re aragonese iniziava in Aprutium la sistemazione della rete tratturale pastorale con l'istituzione nel 1447 della Dohana menae pecudum Apuliae (“Dogana della mena delle pecore in Puglia”), pur tuttavia Avezzano, ad esclusione di Paterno, rimase parzialmente esclusa dai tre tratturi alfonsini di Celano-Foggia, L'Aquila-Foggia, Pescasseroli-Candela. La rete tratturale più vicina ad Avezzano era quella di Celano-Foggia che iniziava dopo Paterno in territorio di Celano e da esso, utilizzando in parte la Via Valeria, arrivava a Foggia attraverso Sulmona e l'Altopiano delle Cinquemiglia (Colapietra 1972). Gli abitanti di Avezzano, seppur votati ad un collegamento geografico anche con i vicini pascoli laziali, utilizzarono anche loro il Regio Tratturo Celano-Foggia, come documentato dalla numerosa presenza di ovini, gia a partire dalla seconda metà del ‘300.
A causa di queste guerre fra Aragonesi ed Angioini, la penetrazione colonnese in Aprutium fu in realtà molto movimentata e contrastata, sia a causa degli Orsini sia per alcuni reali di Napoli: nel 1427 i Colonna ebbero il possesso della Contea di Celano e di quella d'Albe con il deforme Edoardo Colonna, marito di Jacovella di Celano dal 1424; nel 1436 le due contee sono tolte ai Colonna dalla regina Isabella d'Aragona a favore del vecchio condottiero Giacomo Caldora, secondo marito di Jacovella; nel 1441 gli Orsini si impossessano delle contee di Tagliacozzo e d'Albe, tenendole per altri quindici anni. Complessivamente il quattrocento: « era stato uno dei più oscuri e travagliati per l'Italia meridionale, divenuta teatro delle contese franco-spagnole, contese nelle quali il ruolo del Pontefice e delle famiglie romane era sempre estremamente importante. Il conflitto tra gli Orsini e i Colonna per Albe e Tagliacozzo era stato in questo contesto ricco di colpi di scena e di rovesciamenti di fronti sino al definitivo successo dei Colonna, un successo dovuto tanto alla capacità dei condottieri di questa famiglia quanto a una serie di fortunate circostanze, come la volontà pacificatrice degli Aragonesi che nel 1495-96 avevano deciso di confermare al loro posto una gran parte dei baroni che erano stati fedeli a Carlo VIII, oppure la scelta di inizio ‘500 che aveva visto i Colonna schierarsi con gli Spagnoli e gli Orsini con i Francesi, scelta che aveva definitivamente premiato i Colonna, dal 1504 e per tre lunghi secoli signori di Albe e Tagliacozzo. » (Piccioni 1999, 38).
Nell'ottica dei vari possessi della contea albense durante il ‘400 che interessarono il territorio di Avezzano, ricordiamo: il diploma del 21 febbraio del 1432 della “Concessione delle terre marsicane ad Eduardo Colonna”, in cui troviamo Avezzano fra i feudi della Contea d'albe: « Comitatum Celani …, Paternuum, …, comitatum Albe minus terras castra loca et fortilicia subscipta, videlicet …, Aveczanum » (Faraglia 1904, 368); l'Elenco dei feudi del Regno fatto compilare da Alfonso d'Aragona nel 1445, in cui Avezzano e Cese sono citati fra i possessi di Giovanni Antonio Orsini, Conte di Tagliacozzo e d'Albe: « Avezzanum, …, Cese » (Brogi 1900, 284); concessione di Ferrante d'Aragona del 20 marzo 1464 a favore di Napoleone e Roberto Orsini delle contee di Tagliacozzo ed Albe, delle baronie di Carsoli, del Corvaro e della terra di Paterno; nuova concessione del 20 giugno del 1484 dello stesso Ferrante a Virgilio Orsini ed al figlio Giangiacomo delle contee di Tagliacozzo e d'Albe, e delle baronie di Carsoli e del Corvaro comprese le rocche, fortilizi, terre, rendite, vassalli, salvi i diritti e le relative tasse da doversi al Regno di Napoli ed alla sua Curia. Nel mese di luglio dello stesso anno, lo stesso re aragonese concesse all'Orsini la pensione annua di 6000 ducati da ricavare dalla tassa del sale dovuta dai suoi feudi (Celletti 1963, 27, 34).
Il 30 ottobre del 1426 abbiamo un documento che ci attesta il nome di due, delle tre porte, del castrum di Avezzano. Si tratta di una pergamena in cui è riportata, da parte di Leonardo di San Cristofaro de Griptis di Spoltore, per ordine del giudice delegato Giovanni di carapelle, una sentenza per la vertenza fra l'università di Avezzano e la chiesa collegiata di S. Bartolomeo, per il possesso di alcuni beni, case, locali e orti situati sulla sponda pubblica del Fucino, situati da “Porta S. Felice” sino a “Porta S. Francesco” (ADM, A/18). Probabilmente la Porta di S. Felice è riconoscibile nella successiva Porta di S. Rocco, sui cui si immetteva la “Via Albense” che portava ad Albe.
La politica “armentaria” degli Orsini ed il loro dispotismo, non era ben accetto dai “terrazzani” (agricoltori) della contea albense; infatti, nel 1490 Gentile Orsini trasformò il vecchio castello angioino d'Avezzano in un'aggiornata ed efficiente rocca rinascimentale « seditiosis. exitium » (« a sterminio dei sediziosi ») al fine di controllare i rivoltosi agricoltori e pescatori avezzanesi che apertamente parteggiavano per i Colonna (Colapietra 1998, 40). L'iscrizione ancora presente sopra il portale gotico trecentesco del castello, murato successivamente dai Colonna, così recita: Gentilis.Virginius.Ursinus. cum.avitum./ ius.parum.succederet.bellic.virtutis./causa.relictum. a.maioribus.haeredium./ recup.auxitq. Xisti.IV.pont.max.copiis./ ter.victor.praefuit.in.Etruria. Latioq.et./ Gallia.exercitus. Ferdinandi.regis.Sicil./Imp.varios.motus. repressit.delevitq.remp.restituit.postq.bellor.felices. success.arcem.Aveani.seditiosis.exitium./ a.fundament.pos. MCCCCLXXXX. Il rifacimento del primitivo castello trecentesco in rocca rinascimentale a pianta quadrata con bastioni cilindrici sugli angolo sovrastanti i camminamenti merlati, è certamente opera del celebre architetto Francesco di Giorgio Martini, autore del Forte di S. Leo, che in quegli anni lavorava per gli Orsini, come sappiamo da alcune lettere dello stesso Virgilio Orsini (Santoro 1988, 135-136).
Avezzano al termine del medioevo si presentava come un borgo ben accentrato con una “Via centrale” ed altre strade, il percorso perimetrale con supportici sulle mura dotate di torrioni angolari e rompitratta semicilindrici: sulle vie centrali, aperte sulle due piazze (“Centrale” e di “S. Bartolomeo”) le residenze signorili mostravano i loro arredi architettonici tardo-gotici composti da cornici marcapiano a decorazione floreale e diverse eleganti e raffinate finestrature, bifore o trifore, come si può ancora osservare nei superstiti disegni a matita dell'architetto Caracciolo del 1801, conservati nella Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte di Palazzo Venezia a Roma (BIASA, Collezione Lanciani; Grossi 1999b, 7). Sulle mura si aprivano tre porte: Porta S. Francisci verso il Castello, l'Aia pubblica e la chiesa di S. Francesco; la più antica Porta Sancti Bartholomaei aperta verso la pieve di S. Andrea e le rive fucensi; la Porta Sancti Felici in direzione delle strade che portavano ad Albe e Paterno. La consistenza delle fortificazioni di Avezzano ci è offerta da una serigrafia di Fedele De Bernardinis del 1791 in cui sono ben evidenziati i torrioni angolari con apparato a sporgere, quelli affiancati alla Porta di S. Bartolomeo, le mura dotate di merlature e la risega della Porta di S. Francesco (APSB; Teresa Cucchiari 1999, retro cop. e 5): le misure evidenti di un torrione sono, inoltre, presenti in una pianta del 1921 relativa al Monastero di S. Caterina di Avezzano, in cui il torrione aveva il diametro esterno di 6 metri (Avezzano 1998, 50, fig. 14). Le mura di Avezzano furono definitivamente demolite nel 1843 per ordinanza del Decurionato del 26 Marzo dello stesso anno (ASCA, Libro delibere Decurionato 1834/1846, p. 51).
Al quattrocento si devono i miglioramenti degli arredi ecclesiastici delle chiese di Cese e Penna con la realizzazione delle pale d'altare dedicate alla Madonna, a S. Maria di Cese ed a S. Vincenzo di Penna, ad opera del famoso pittore Andrea de Litio, autore del ciclo di affreschi del Coro di Atri, e di altro artista della sua scuola. La prima, detta “Madonna di Cese”, realizzata a tempera su tavola, è ridotta ad un frammento relativo al solo volto aureolato ed è conservata nel Museo d'Arte Sacra della Marsica nel Castello Piccolomini di Celano. In origine la pala d'altare, raffigurante la Vergine in trono con Bambino, era parte integrante dell'arredo ecclesiastico della chiesa di S. Maria di Cese ed era collocata nell'altare centrale. Con il terremoto del 1915, la pala, rimasta sepolta fra le macerie del crollo della chiesa, si ridusse al solo frammento superiore (Di Domenico 1993, 171-183). Si presenta ora con il bel volto leggermente inclinato verso la sua destra con volto circondato da un aureola dorata con iscrizione (- Ave Maria gratia plena Dominus t(ecum)-) e tracce di trono decorato da motivi floreali. Gli studi di Ferdinando Bologna hanno permesso di attribuire il dipinto al periodo giovanile di uno dei più grandi pittori abruzzesi del Rinascimento, nativo di Lecce dei Marsi è detto Andrea de Leccio o Andrea de Litio, datandolo tra il 1439 e il 1442 (Bologna 1987, 1-27).
La seconda, detta “S. Maria di Vico” o “di Penna”, ora conservata nella chiesa di S. Francesco d'Assisi di Avezzano, è realizzata con tela incollata su una tavola di cm 97×63. Datata alla metà del XV secolo, in origine era parte di un trittico conservato nella chiesa di S. Vincenzo di Penna che nel Cinquecento, probabilmente per furto, pervenne alla chiesa di S. Maria in Vico, luogo di culto in passato dipendente, come cappella, da S. Vincenzo di Penna. Il racconto fantasioso del suo arrivo (travagliato ed a colpa delle acque fucensi) a S. Maria in Vico, è nel Febonio e negli autori successivi che ricordano sui lati le immagini di S. Benedetto e S. Vincenzo, a riprova della sua provenienza dalla chiesa maggiore di S. Vincenzo: trad. ital. = « Leggiamo nel precitato antico codice, conservato nell'archivio della Collegiata di Avezzano, che, nella notte in cui l'impeto dell'infuriato lago devastò gli abitati, l'acqua raggiunse il tetto della chiesa: per cui gli abitanti si disperavano sinceramente per la sua scomparsa nelle acque della immagine della Vergine, ma mentre non si illudevano di poterla ripescare fra le onde, essendosi rifugiati nella vicina chiesa di S. Vincenzo, colà sull'altare maggiore la veneranda immagine ritrovarono, miracolosamente quivi trasportata: per la letizia di tanto dono, dimentichi dei danni, versando lacrime per la gioia del miracolo, lodi a Dio ed alla Vergine in gran numero cantarono. Si tratta dell'effigie della Madonna col Bambino e i volti di S. Benedetto e S. Vincenzo ottimamente dipinti. Il quadro a questa nostra patria poi, per volontà di Dio, passò, precisamente al villaggio di Vico, annesso al territorio di Avezzano, quivi trasportato furtivamente o per altra occasione. Famosa (detta immagine) per i miracoli, con grande devozione dei fedeli oggi è venerata nel convento dei Cappuccini, detto Santa Maria in Vico. » (Phoebonius 1668, III, 139).
Con il terremoto del 1915 la pala d'altare perse le immagini laterali e fu trasportata al Museo di Palazzo Venezia a Roma da dove poi ritornò ad Avezzano, dopo numerose richieste, nel 1972: il 24 giugno del 1979 l'opera pittorica fu definitivamente collocata nella chiesa di S. Francesco. Il dipinto, realizzato in tela applicata su tavola dal fondo dorato, dalle movenze raffinate vicine all'arte senese del quattrocento, può essere attribuito alla cerchia del “maestro del Trittico di Beffi” o a quella di Andrea de Litio, artisti che vediamo operanti in ambiente marsicano (Cese e Celano) durante la prima metà del ‘400 (Palma 1987, 128-129).
Al termine del ‘400 o inizi del secolo successivo risale il portale di S. Maria in Vico, ora incorporato nella chiesa di S. Giovanni di Avezzano con stemma di S. Berardino da Siena nel centro dell'architrave. Esso, del tipo archivoltato e delimitato da colonnine laterali su due ordini sovrapposti di tradizione tardo-gotica, era inserito nella piatta facciata della chiesa ristrutturata dai Francescani nel primo Rinascimento con la tipica pianta gotica a navata unica divisa da tre campate con arconi a sesto acuto. La facciata era contrassegnata da un finestrone circolare con superiore bassorilievo di S. Giorgio a cavallo (Gavini 1927-28, II, 286). Al periodo tardo-gotico appartiene anche il bel portale di S. Sebastiano ora conservato nel Museo Lapidario di Avezzano.
Sul finire del medioevo il costante conflitto fra Orsini e Colonna trovò termine: importanti appaiono diversi diplomi di Federico II d'Aragona databili dal 1495 al 1499 in cui è ben chiara la vittoria dei Colonna sugli Orsini:
Il 6 luglio del 1495 il regnante aragonese concesse a Fabrizio Colonna ed ai suoi eredi l'investitura totale delle terre, appartenute a Virgilio Orsini e successivamente devolute al regio fisco a causa della sua ribellione, di: Tagliacozzo, Albe, Celle (Carsoli), Oricola, Rocca di Botte, Pereto, Colli (di Montebove), Tremonti, Rocca di Cerro, Verrecchie, Cappadocia, Petrella (Liri), Pagliara, Castellafiume, Corcumello, Cese, Scurcola (Marsicana), Poggio (Poggetello), S. Donato, Scanzano, Sante Marie, Castelvecchio, Marano, Torano, Tusco (Latuschio), Spedino, Corvaro, Castelmenardo, S. Anatolia, Rosciolo, Magliano (dei Marsi), Paterno, Avezzano, Luco, Canistro, Civita d'Antino, Cappelle. Gli concesse inoltre, nello stesso diploma, la Baronia di Valleroveto formata dai castelli di Capistrello, (Pesco) Canale, Civitella (Roveto), Meta, Rendinara e Castel dei Vivi (Roccavivi) concedendogli, inoltre, ben 6000 ducati vita naturale durante (Colonna P. 1927, 99);
Il 6 Luglio 1497, abbiamo altri due diplomi di riconferma dei feudi marsicani a Fabrizio Colonna, in cui ricompaiono le stesse terre e tutti i paesi rovetani sulla destra del Liri (Brogi 1900, 317);
Il 3 febbraio del 1499 in cui si riconoscevano ai Colonna le contee di Tagliacozzo ed Albe, con le baronie di Valleroveto e di Carsoli (Colonna P. 1927, 100).
La seconda metà del secolo, seppur fra i vari conflitti e passaggi di mano, segna lo sviluppo della mobilità geografica umana dell'area con specializzazioni dovute alle caratteristiche morfologiche e climatiche locali. Le migrazioni stagionali dei braccianti agricoli dei Palentini, del Piano di Vico e Valle di Nerfa verso la Campagna Romana, nei possessi degli Orsini e Colonna, si fanno più consistenti. Le popolazioni della Valle di Nerfa si specializzano nella pastorizia e nell'allevamento equino (i “cavallari”), utilizzato per i passi appenninici e la Campagna Romana: rinasce la vecchia strada romana che da Corcumello, per il passo di Girifalco, Pagliara, Cappadocia e l'altopiano di Marrumpano, raggiunge Vallepietra e Subiaco; strada che diventa metà di frequenti pellegrinaggi al santuario trinitario di Vallepietra da parte delle genti della Marsica occidentale. Nasce il “Tratturo Colonna”, che per il Valico di S. Antonio arriva a Filettino e Piglio per l'alta valle dell'Aniene e la piana del Sacco. Tratturo che incomincia ad essere frequentato dalle greggi dei ricchi proprietari capistrellani ed avezzanesi legati alla potente famiglia romana. Altra linea commerciale e pastorale era quella della media valle dell'Aniene (“Tratturo Orsini”): non dimentichiamo che con Napoleone Orsini, « comiti Tagliacotii » nel 1470, le proprietà degli Orsini si estendevano dal Tirreno al Fucino con terre nella media ed alta valle dell'Aniene (Arsoli, Licenza, Vicovaro, ecc.) e Piana del Cavaliere nel Carseolano. Prova di un commercio del sale fra Marsica e Valle dell'Aniene, lungo l'antica Via Valeria e medievale « via antiqua quod dicitur Salara », è documentato per il 1464 con la concessione di Ferrante d'Aragona a Napoleone e Roberto Orsini di esportare una determinata quantità di sale, senza licenza, dalle terre del Regno nell'agro romano (Celletti 1963, 27).
In questo clima generale di sviluppo della pastorizia transumante nel Regno di Napoli nella seconda metà del ‘400, i Colonna, per concessione regia, istituiscono una loro Dogana pastorale a Tagliacozzo ed utilizzano i pascoli estivi dei monti Simbruini dove confluiscono le greggi dei loro ed altrui possessi laziali (Filettino, Subiaco, Serrasecca e Vallepietra). La ricchezza degli alti pascoli estivi dei Simbruini abruzzesi, facilità lo sviluppo economico degli insediamenti dell'alta valle del Liri ed altri centri del Ducato di Tagliacozzo ed Albe: « In virtù delle sue buone zone a pascolo, pur senza ospitare grandi comunità pastorali la Marsica occidentale mostra insomma diversi paesi in grado di fare dell'allevamento transumante un'attività stabile e in grado di procacciare redditi consistenti, ben di là dall'estemporaneo investimento di qualche individuo particolarmente intraprendente. Se però tutta la pastorizia della Marsica orientale è marcata in profondità dalla dipendenza dai pascoli invernali del Tavoliere, dal lungo percorso per arrivarvi e dalle contrattazioni primaverili della fiera di Foggia, qui i condizionamenti più forti provengono dalla vicinanza di Roma, città dei Colonna, dei proprietari di gran parte delle greggi e soprattutto mercato di sbocco privilegiato di gran parte dei prodotti dell'allevamento.» (Piccioni 1999, 89-90). Pur tuttavia Avezzano con le sue famiglie emergenti appare sostanzialmente legata allo sfruttamento della terra e, in minor parte, all'allevamento transumante e all'attività piscatoria sul Fucino vista la vicinanza della Stanga di Caruscino.
Con i Colonna, ormai potentissimi feudatari del Regno di Napoli (« gran contestabili» del Regno) ed i loro gabellieri della famiglia dei Mattei, Avezzano con la sua universitas contrassegnata dalla figura di S. Bartolomeo ed inserito nel Ducato di Tagliacozzo-Albe, entra nella storia moderna del Regno di Napoli e si conclude l'analisi delle sue vicende medievali.
a cura del Prof. Giuseppe GROSSI da www.comune.avezzano.aq.it
|